Tallini e il clan Grande Aracri. La sintesi del Gip: “Riciclaggio di denaro con la sanità e consenso politico-mafioso”

Il Gip, nella sua ordinanza nella quale sanzionava gli arresti domiciliari per Domenico Tallini nello scorso novembre 2020, sintetizzava – nella prima parte del suo enorme lavoro di sintesi – l’oggetto dell’inchiesta della Dda di Catanzaro ovvero i rapporti tra il politico, i suoi scagnozzi e il clan Grande Aracri. E spiega con dovizia di particolari gli obiettivi dell’associazione mafiosa. Che adesso potranno essere ancora meglio chiariti dal pentimento del boss Nicolino Grande Aracri. 

“… Gli atti dimostrano la perdurante potenzialità offensiva della più potente organizzazione criminale della Calabria, ancora in grado, nonostante le operazioni di polizia che l’hanno colpita, di espandersi anche in vasti territori del Nord Italia e all’estero. La cosca oggetto d’indagine, che fa capo alla famiglia di ‘ndrangheta di Cutro denominata Grande Aracri, costituisce un esempio di come la criminalità organizzata calabrese abbia saputo adeguarsi ai “segni dei tempi”, adottando una strategia che lascia su un piano residuale l’utilizzazione di metodi violenti e direttamente intimidatori, prediligendo piuttosto lo sfruttamento di rapporti personali privilegiati con soggetti detentori delle leve del potere e per avvalersi, così, di “scorciatoie” assolutamente impraticabili per la gente onesta. Si tratta di rapporti privilegiati instaurati grazie alla incisiva mediazione di soggetti in grado di avvicinare e coinvolgere il cosiddetto “secondo livello” e vale a dire politici, amministratori, funzionari eccetera…

Nel caso di specie, le risultanze investigative dimostrano ancora una volta come lo sfruttamento, da parte della ‘ndrangheta, della sua profonda penetrazione nei gangli della società civile, sia finalizzata non soltanto ad assicurarsi coperture nel riciclaggio dei capitali “sporchi”, ma anche ad influenzare decisioni amministrative ed assicurare “fette di mercato” ad imprese funzionali ai loro interessi, imprese che a loro volta redistribuiscono ricchezza tra gli affiliati, con il concreto rischio che la ‘ndrangheta possa assumere cos’ il controllo di interi settori dell’economia.

I temi di indagine ruotano intorno ad una struttura consortile, il Consorzio Farma Italia, e ad una società di capitali allo stesso collegata, la Farmaeko. La proprietà di entrambe le suddette realtà economiche è detenuta nella quasi totalità da soggetti che sono riconducibili alla cosca Grande Aracri, che controlla in modo esclusivo – manco a dirlo – anche il management strategico ed operativo. E’ noto che le attività legali condotte dall’impresa mafiosa rispondono a diverse esigenze ed è possibile individuare diversi motivi per cui il crimine organizzato investe nei mercati legali, quali l’occultamento di capitali accumulati illegalmente (riciclaggio), la semplice realizzazione di profitti, l’acquisizione ed il rafforzamento di consenso sociale, l’adozione di un valido strumento di controllo del territorio.

Le indagini che la Pubblica Accusa pone a fondamento della sua mozione cautelare disvelano tutte queste attività, accanto alle quali – dal momento che l’impresa mafiosa resta un’impresa criminale – vi è anche il programma delittuoso di truffare il Servizio Sanitario Nazionale esportando illegalmente farmaci oncologici per rivenderli all’estero con profitti spropositati. In questo modo, l’occultamento dell’attività criminale non si limita al riciclaggio di denaro, l’organizzazione criminale si propone di utilizzare l’azienda anche come sede operativa per attività illecite parallele a quelle legali.

Inizialmente orientata al profitto, come emerge dal contenuto di un vero e proprio summit tenutosi il 7 giugno 2014, l’impresa nata con l’apporto di denaro dei “maggiorenti” ancora in stato di libertà della cosca, diverrà sempre più un'”impresa paravento”, finalizzata a distribuire appalti ad imprese collegate alla cosca o gradite dalla stessa, e poi sarà condotta al fallimento.

Tutto ciò avverrà perché l’enorme profittabilità prospettata inizialmente non era riferita a particolari capacità imprenditoriali dei criminali che la dovevano governare, ma allo sfruttamento dei contatti con politica ed economia, all’accesso a risorse finanziarie illecite senza dover corrispondere interessi, alla sostanziale irregolarità delle condizioni di lavoro, ai metodi truffaldini di approvvigionamento.

In ultimo, ma certamente non di minore importanza, emergono finalità strategiche diverse da quelle propriamente economiche e che guidano l’azione degli “accoscati” su due fronti: sia quello dell’aumento del consenso presso altri imprenditori, presso funzionari della pubblica amministrazione e presso politici locali, così instaurando e rafforzando una fitta rete di rapporti con questi soggetti, creandosi un’immagine rispettabile e slegata dalle attività criminali; sia quella del controllo del territorio, perseguendo lo scopo di aumentare la propria influenza nel capoluogo di regione (Catanzaro), territorio strategico per ogni genere di attività che debba fare i conti con la programmazione politico-amministrativa regionale. Del tutto in linea con una diffusa metodica criminale ben messa in evidenza dagli analisti del fenomeno, anche nel caso di oggi l’infiltrazione della criminalità mafiosa si concentra su settori dell’economia emergenti, poco regolamentati o la cui normativa è in costante evoluzione, senza dubbio preferiti a settori soggetti ad una forte regolamentazione. Tale è il settore della distribuzione dei farmaci, che suscita appetiti criminali anche per la fragilità finanziaria che lo connota.

Si è già accennato che queste riflessioni muovono da una approfondita analisi dei contenuti di un vero e proprio summit di ‘ndrangheta tenutosi il 7 giugno 2014 in locali annessi all’abitazione del Boss indiscusso Nicolino Grande Aracri (la famosa “Tavernetta”)… La sistemazione di microspie nei locali della Tavernetta dell’abitazione del Capo della Provincia – luogo in cui lo stesso riceveva abitualmente persone conosciute e contigue – ha avuto effetti devastanti per la cosca, disvelando una molteplicità di elementi di straordinaria valenza processuale. La cosca appare tuttavia ancora viva ed operante, pronta a sfruttare la situazione di fragile legalità del suo territorio di elezione, principalmente dovuta alla scarsità di risorse economiche e finanziarie ed alla fragilità del tessuto sociale. Questa fragilità la si coglie anche sul versante della canalizzazione mafiosa dei consensi elettorali, che è un aspetto molto importante… Proprio nella prospettiva della canalizzazione del consenso elettorale, le indagini dimostrano come un importante politico calabrese, Domenico Tallini, contattato da un personaggio che si dimostra a lui molto vicino e parimenti vicino alla criminalità organizzata, tale Domenico Scozzafava, si sia speso notevolmente per eliminare ogni ostacolo burocratico-amministrativo per la nascita di una compagine imprenditoriale nella quale, poco più tardi, comparirà anche suo figlio Giuseppe Tallini.

Gli atti di indagine dimostreranno che Domenico Tallini era ben consapevole di prestare un rilevante contributo all’associazione criminale e che il lusinghiero “ritorno” elettorale provenutogli dai luoghi di elezione di quella cosca era riconducibile al patrimonio di intimidazione che la cosca stessa indubbiamente detiene…”.