21 Luglio 2001. Vent’anni fa, al G8 di Genova (di Giulio Bruno)

di Giulio Bruno

Il 21 luglio di venti anni fa era un luglio come tanti. O almeno così sembrava. Forse un pochino peggiore. L’estate scandita dalla musica generalista che più commerciale non si può, si concentrava nella rassicurante banalità del tormentone “dammi tre parole: cuore, sole e amore”, degna colonna sonora dell’Italia berlusconiana che albeggiava al nuovo millennio. Attraversammo la penisola in pullman di notte, direzione Genova, insieme a tanti altri compagni per manifestare contro il G8, per far sentire la nostra voce contro i potenti del globo, per sostenere un’idea alternativa di modello sociale al grido di “un altro mondo è possibile”.

Bandiere rosse, striscioni, altoparlanti, la nostra “cassetta degli attrezzi” era munita di tutto l’occorrente. Non fu una traversata serena; nei vari notiziari radiofonici notturni trasmessi durante il viaggio -che raccontavano in diretta no-stop la manifestazione di no-global, partiti, sindacati, don Gallo, Emergency, associazioni, Tute Bianche, ambientalisti, anarchici e cittadini senza sigla– i cronisti rilasciavano resoconti inquietanti e notizie angoscianti: era stato ammazzato un ragazzo, poche ore prima, negli scontri con le forze dell’ordine.

Nello spazio di una notte, Carlo Giuliani era diventato il simbolo della repressione e della lotta. Giungemmo in Liguria frastornati, increduli, sgomenti. Insieme a me, mio fratello di 17 anni. Quel 21 luglio Genova scintillava, per usare le parole di Antonio Tabucchi. La giornata era limpida, tersa, neppure l’ombra di una nuvola a mitigare un sole caldo e cocente. A fare da contorno a tutta quella bellezza, a quella festa di partecipazione popolare e a quei meravigliosi colori di lotta, il velo scuro e funereo della morte. Ho ancora impresse nella mente le ripetute cariche violente della polizia, le manganellate, la devastazione dei Black Bloc, le vetrine spaccate e le auto in fiamme, le colonne di fumo nero e le forze dell’ordine che inveivano e si accanivano contro i manifestanti pacifici ignorando deliberatamente i veri responsabili di quegli atti.

Agenti di polizia e militari dell’Arma infiltrati nei Black Bloc, pianificazione della guerriglia urbana, confezionamento di false prove per criminalizzare il movimento e giustificare la reazione di estrema violenza esercitata: i vari processi, a distanza di troppo tempo, hanno fatto finalmente luce sulle vicende di quei giorni. Ricordo la paura, le fughe disperate tra i vicoli per sottrarsi alle cariche tra manganelli e fumogeni sparati ad altezza d’uomo, ricordo la gente di Genova solidale nell’offrirci rifugio nei portoni e nel rifornirci di acqua. Ho visto scene incredibili, ragazze terrorizzate in lacrime, persone sanguinanti, innocui manifestanti sdraiati a terra e percossi o fatti inginocchiare e minacciati con le armi.

Bolzaneto, la Diaz, le irruzioni, il caos. Macelleria messicana, fu giustamente definita. Alla fine di quella giornata, appena misi piede sul pullman, svenni; forse per il troppo caldo, forse per la tensione. A distanza di pochi mesi da quel luglio del 2001 sarei diventato padre. Ad Antonio, che guarda ancora oggi la foto incorniciata appesa alla parete del mio studio, racconto di quei tempi e di come lottavamo anche per il suo futuro, per la sua libertà, per un mondo senza ingiustizie, contro il neoliberismo che pervade le nostre esistenze, contro ogni capitalismo che assoggetta vite e percorsi ideali alle logiche del mercato e del profitto. Genova 20 anni fa. E quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che ancora abbiamo noi dopo aver visto Genova…