di Vito Barresi
L’ombra della ‘ndrangheta sulle reti Rai? E se non fosse solo fantastoria? C’è stato un tempo in cui la ‘ndrangheta comandava anche alla Rai? Forse nel corso degli anni ’90 del secolo scorso? Gli ipotetici inquietanti legami tra ‘ndrangheta, media radiotelevisivi di stato e privati non si fermerebbero soltanto alla macabra storiella ormai un po’ melensa del solito stalliere di Arcore, oppure dei ponti di trasmissione e agli impianti di ricetrasmissione in terre di camorra, mafia e ‘ndrine. Anche se tra gli inquirenti quasi nessuno azzarda scenari in proposito, se non il frammento di un ancora ‘anodina’ impressione riecheggiata in una recente dichiarazione del Procuratore Generale di Catanzaro Gratteri secondo cui “la ‘ndrangheta sta comprando tutto ciò che è in vendita da Roma in su. Se questa gente inizia a comprare pezzi di giornali o di televisione? Se questa gente inizia comprare e a manipolare il consenso e l’informazione? Questo è un grande pericolo per la democrazia e per la libertà”.
In realtà la storia dei rapporti tra mafia e informazione è ricca di pagine e capitoli persino avvincenti non solo rovistando negli archivi criminali di FBI ma anche guardando alle tante cronache italiane. Come gli addetti alla nera sanno bene un giornalista nella sala stampa di una questura o di una procura è sempre l’interfaccia di un flusso d’informazioni in entrata e in uscita, trovandosi nella posizione ‘bifocale’ da cui si può gettare uno sguardo sulle carte oppure origliare conversazioni su piccoli fatti di cronaca giudiziaria o grandi inchieste di mafia. Come pure conoscere gli affari delle famiglie e riferirli a chi di dovere in cambio di altre notizie…
Dunque potrebbe esserci qualcosa di più, qualcosa cioè fatto di nomi e cognomi, vicende sordide e passaggi immorali, in quello che si potrebbe paventare come una sorta di catena invisibile pure esistente o esistita tra grandi televisioni di stato, network apparentemente indipendenti, giornalismo di regime e prezzolato, poteri criminali occulti e criminalità organizzata, sempre dislocata e attiva sui territori. Una storia inedita e non scritta, per certi versi spaventosamente simile a quella di un Grande Fratello, una sorta di ‘minority report’ della televisione e del giornalismo italiano che potrebbe emergere da una più approfondita ricognizione del ruolo avuto da alcuni parlamentari calabresi, mafiosi e ‘ndranghetisti contigui a personaggi dell’informazione e dei media nazionali, molti dei quali anche iscritti all’Ordine (vedi per esempio Ligato o altri ancora…), parti attive nelle varie commissioni di vigilanza, dove sono transitati non pochi esponenti politici calabresi sia di destra che di sinistra, e last but non least, nella stessa Rai, come in altre onorate e illustri istituzioni del giornalismo italico.
Come non ricordare ‘en passant’ l’ancora misterioso attentato di Cosa Nostra a un simbolo e mostro sacro della tv e della stampa, quello ai danni di Maurizio Costanzo? Oppure la clamorosa vicenda che ha colpito ingiustamente Enzo Tortora sulla base di false testimonianze tutte fabbricate da esponenti di spicco della Camorra napoletana? Uno spaccato inquietante che fa da evidente contrasto con il grande impegno di tanti giornalisti colpiti e persino trucidati per la loro coerente lotta contro le mafie.
Tutto questo potrebbe venir fuori – prima o poi, visto che i processi sono ancora tanti – dai procedimenti in corso contro l’ex parlamentare socialdemocratico calabrese, avvocato Paolo Romeo, accusato di legami con la ‘ndrangheta, già nel luglio 1993, allorquando la magistratura richiese alla Camera dei Deputati l’autorizzazione all’arresto perché accusato “di essere ‘dirigente’ di una cosca della ‘ndrangheta dedita agli omicidi, al traffico di stupefacenti, al controllo di attività economiche pubbliche e private”.
Paolo Romeo era stato eletto nel 1992 deputato alla Camera per il Partito Socialista Democratico Italiano nel collegio di Catanzaro e subito nominato segretario della commissione di vigilanza Rai, incarico che ha mantenuto fino al 1994.
Nel biennio compreso tra il 1992 e il 1994 Romeo fu personalità di spicco nella politica romana, un personaggio molto in vista nel mondo dell’informazione della Rai. Erano gli anni in cui proprio davanti ai parlamentari della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, di cui Romeo era segretario, avvenivano scontri ideologici epocali come si può ancora leggere nell’Archivio del quotidiano la Repubblica allorquando si narrà del famoso ‘battibecco pubblico tra il presidente della Rai Walter Pedullà e il direttore del Tg3 Sandro Curzi che si scontrarono sulla lottizzazione: con Pedullà occupato a denunciare la “tripartizione” che regna in azienda al punto da produrre “mostri che possono strozzare la Rai” e con Curzi pronto a dichiararsi “offeso” per essere considerato un uomo messo sulla sua poltrona per volere di un partito.
A far scoppiare la polemica è stato l’ intervento introduttivo di Pedullà: il presidente ha ricostruito la storia recente della tv pubblica sostenendo che “nell’ 87, di fronte alla necessità di stringere attorno alla Rai il massimo di solidarietà, politica e partitica, per controbattere la concorrenza della Fininvest, l’informazione della Rai si tripartisce tra Dc, Psi e Pci”, una situazione poi degenerata fino “all’attuale crisi irreversibile”. Non l’ avesse mai detto… Quando è stato il suo turno, Curzi si è inalberato, dichiarandosi “offeso”. “Pedullà ha tracciato una storia assolutamente inesatta – ha affermato il direttore del Tg3 – tant’ è vero che io venni nominato con l’ astensione, a sorpresa, dei consiglieri del Pci. Non ho mai nascosto come la penso, ma la mia nomina non venne dal Pci. Io ricevetti il mandato da Manca, allora presidente, e dall’ allora direttore generale Biagio Agnes”.
In un secondo intervento, però, Curzi ha messo a punto la sua versione e ha affermato di rendersi conto di essere stato nominato “anche per la sua storia”. “Eravamo sottoposti a un duro attacco della concorrenza – ha detto – e si sentiva l’ esigenza di aprire all’ opposizione. Ricordo che Agnes mi disse che dovevamo aumentare l’ ascolto soprattutto in Toscana e in Emilia dove gli abbonamenti alla Rai erano in calo”. Pignoleria per pignoleria, comunque, anche Pedullà ha voluto offrire a deputati e senatori una sua dettagliata versione dei fatti: “Mi stupisce il candore di Curzi – ha detto nella successiva replica – e non avrei mai immaginato, a tanti anni di distanza, di dovergli dire con chiarezza che Agnes e Manca mi contattarono allora, nelle mie vesti di consigliere d’amministrazione, e mi sottolinearono l’ importanza di votare per un direttore che rappresentava un partito dell’opposizione, anche perché, mi dissero, era la prima volta che succedeva in un paese occidentale”. E poi: “Se non volete usare la parola lottizzazione, chiamatelo anche pluralismo”.
In questo clima agiva il parlamentare poi accusato di ‘ndrangheta Paolo Romeo che da par suo non mancò di denunciare che “le anomalie del sistema radiotelevisivo pubblico non si risolvono, certamente, con accordi di vertice tra quei partiti che sono i primi responsabili della tripartizione. Né sarebbe riguardoso ritenere che i presidenti del Senato e della Camera siano disposti ad assecondare disegni lottizzatori formalizzando designazioni che perpetuerebbero l’appropriazione del Servizio Pubblico da parte delle forze politiche maggiori. Occorre una volontà ed un impegno a sciogliere i nodi veri del Servizio Pubblico, dalla ridefinizione dei poteri, alla individuazione di un nuovo profilo istituzionale della Rai, così come imposto dal riassetto delle partecipazioni statali e una più equa ripartizione delle risorse tra pubblico e privato a garanzia anche delle Televisioni locali”. E se lo diceva lui….