Nei giorni scorsi abbiamo dato notizia dell’avvenuta “fine del servizio” per uno dei boiardi servi del potere più rapaci di tutta Italia ovvero l’ingegnere Giuseppe Lo Feudo, capo indiscusso per decenni delle Ferrovie della Calabria. Lo Feudo ha incassato stipendi faraonici sulle spalle della gente, ha tessuto trame e interessi inconfessabili con i suoi amici politici (di tutto l’arco costituzionale) e sindacalisti, ha sistemato bamboccioni e puttane, amanti e magnacci e ha fatto lavorare delinquenti incalliti in ogni settore possibile. Sono di ieri le ultimissime notizie relative al suo ruolo nella “cupola” di Mario Oliverio e Nicola Adamo con riferimento alla metro leggera Cosenza-Rende ma anche allo studio di fattibilità per la riqualificazione e la velocizzazione della linea Cosenza-Catanzaro, per il ripristino del cosiddetto trenino della Sila e persino per la tratta Moccone-Silvana Mansio. Lo Feudo era in prima fila in tutte le manovre di corruzione, benedica… E ha chiuso la sua “onorata” carriera trovando anche il coraggio di dispensare le sue ultime promozioni. Roba che se fossimo in un paese civile e non in una repubblica delle banane, qualcuno lo avrebbe preso – come minimo – a pernacchie.
Per rivolgergli l’ultimo saluto, abbiamo pensato ad alcuni concetti-chiave che qualcuno prima o poi gli farà arrivare e ci auguriamo di cuore (anche se ne dubitiamo vista la sua eterna faccia di culo) che si possa incazzare e magari diventare paonazzo in viso come mai è accaduto nella sua squallida e impresentabile carriera.
Caro Lo Feudo, lei non ha mai onorato la sua posizione di responsabilità con umiltà ed equità come invece avrebbe dovuto.
Il rispetto e la rettitudine non sono concetti che lei ha messo in pratica in tutti questi anni, dal momento che si è comportato in maniera magnanima e assurda verso alcuni (soprattutto lecchini e ruffiani, viste le ultime promozioni concesse appena un mese fa) e in maniera spietata verso altri, che per tutelare i propri sacrosanti diritti sono dovuti ricorrere alla magistratura.
Lei, caro Lo Feudo, ha lavorato in sintonia solo con quei rappresentanti sindacali venduti al potere, come quelli della Cgil, ai quali per decenni ha consentito di tutelare i loro squallidi interessi e non certo quelli dei lavoratori, ai quali non è rimasto altro da fare che denunciare le sue piroette da boiardo di stato affamato di soldi e potere.
Di conseguenza, solo una parte del personale la ricorderà con affetto, stima e gratitudine mentre per coloro che hanno lavorato onestamente e sono stati bistrattati o addirittura licenziati le dovrà restare il rimorso a vita perché costoro ricorderanno il suo operato solo per la sfacciata mancanza di obiettività gestionale ed il mancato equo trattamento e le negheranno, fino alla fine dei suoi giorni, il saluto e il sorriso.
Caro Lo Feudo, lei ha lasciato la nave aziendale delle Ferrovie della Calabria in mare aperto, dopo averla guidata soltanto per soddisfare i suoi interessi e quelli delle lobby per le quali ha lavorato in tutti questi anni. E se molte falle sono state in qualche modo tamponate, non c’è dubbio che le ultime che ha provocato in maniera vergognosa ne provocheranno il vergognoso affondamento.
Ci dicono che adesso se ne andrà in Francia a godersi la pensione e tutti i soldi che ha sgraffignato grazie alla cupola politica che rappresenta: caro Lo Feudo, ci resti il più possibile perché se deciderà di ritornare in Calabria, stavolta non mancherà qualcuno che le ricorderà per filo e per segno tutti i danni che ha provocato. Si vergogni, e – se possibile – si penta di tutto quello che ha fatto.









