Fin quando in Calabria non ci sarà un vero e proprio repulisti di tutte le toghe sporche che da anni agiscono indisturbate per favorire masso/mafiosi e amici degli amici, per tutti i calabresi sarà difficile avere Giustizia.
Se nel resto d’Italia qualcosa in questo senso si muove, e il caso “Palamara” è la prova che quando si vuole si può agire, in Calabria tutto rimane così com’è da decenni. Nonostante le gravi e allarmanti notizie che giungono dalla procura di Salerno: oltre 15 magistrati indagati, in Calabria, per reati che vanno dalla collusione con mafiosi, alla fughe di notizie, alla corruzione. E pare che questa sia solo la punta dell’iceberg dell’inchiesta condotta dalla procura salernitana: altri magistrati, oltre i 15, sarebbero nel mirino dei Pm campani che da tempo lavorano a quella che oramai si può definire una vera e propria struttura parallela della Giustizia in Calabria.
Come a dire: in Calabria esistono due Giustizie: quella per le persone “normali” che non hanno santi in paradiso, e quella per gli amici degli amici. E da qui si può anche capire il perché di “certe assoluzioni”, come ad esempio quella che dice che Franco Muto non è un mafioso: un vecchio espediente di certi giudici abituati ad assolvere i mafiosi veri per poter poi giustificare l’assoluzione degli amici degli amici rimasti invischiati in intrallazzi mafiosi. Una prassi oramai consolidati a queste latitudini.
La grave situazione della Giustizia in Calabria è sotto gli occhi di tutti, e i numeri che arrivano dalla fuga di notizie (riportata dal Fatto Quotidiano) dalla procura di Salerno sono e restano allarmanti. Ma tutto questo sembra non preoccupare nessuno. Men che meno il Ministro della Giustizia che di tutto parla, compreso dei giudici coinvolti nello scandalo del CSM, tranne che della situazione Giustizia in Calabria.
Bonafede è il maggior responsabile dell’attuale mercimonio a cui è piegata la Giustizia in Calabria, perché nonostante le tante sollecitazioni – compresa la richiesta, rimasta senza risposta, di 8 deputati del suo stesso “partito” (5Stelle), che da oltre un anno chiedono un intervento ispettivo presso il Tribunale di Cosenza e non solo – non ha mai mosso un dito per tentare di ripristinare almeno quel minimo di legalità indispensabile per il vivere civile. Ha preferito, per paura di scoperchiare un pentolone che metterebbe davvero in ginocchio l’intero “apparato Giustizia” in Italia, lasciare tutto così come era. Giustificando la sua pavidità ad agire nei confronti di una vera e propria casta che della corruzione ha fatto la sua bandiera, sempre con la stessa scusa: il rispetto dell’autonomia della magistratura. Un “principio” che Bonafede applica solo in Calabria.
Il ministro ha sempre fatto orecchie di mercante quando si trattava di intervenire in Calabria. Ha paura di trovarsi coinvolto in quella che oramai tutti sanno essere una vera e propria faida tra diverse fazioni di magistrati. Uno scontro tra “buoni e cattivi”: da un lato chi difende lo status quo, che significa tenere al chiuso e sotto chiave i tanti scheletri negli armadi, dall’altro chi vorrebbe amministrare la Giustizia nel nome del popolo italiano difendendo il sacro principio che la Legge è uguale per tutti.
Dentro questo quadro il silenzio di Bonafede equivale ad una presa di posizione: sta dalla parte dei cattivi. E lo ha dimostrato anche con la sua inattività, coprendo i magistrati inquisiti dalla procura di Salerno non firmando la richiesta di ispezione al tribunale di Cosenza. Un atto che sta nelle prerogative del Ministro e che non tocca minimamente l’autonomia della magistratura. Ma nonostante ciò Bonafede ha inteso tutelare gli indagati piuttosto che la parte sana della magistratura calabrese e gli stessi cittadini.
Ha disposto ispezioni nei vari tribunali italiani per molto meno, e non ha ritenuto “urgente” invece la questione Giustizia in Calabria. Per lui evidentemente è normale che un procuratore capo coinvolto in una delicata inchiesta di corruzione e collusione mafiosa, continui ad indagare cittadini e a promuovere inchieste. Così come è normale, sempre per Bonafede, farsi giudicare da un giudice indagato per aver “addomesticato” sentenze. È chiaro che la presunzione di innocenza vale anche per loro, ma visto il delicato compito che devono svolgere sarebbe stato “normale” destinarli, fino alla fine del procedimento a loro carico, ad altre funzioni. Non c’è niente di male in questo. Ma neanche questo ha osato dire Bonafede. Evidentemente la pressione della lobby che difende i magistrati corrotti in Calabria è talmente forte che il pavido ministro non può far altro che stare zitto.
Ecco perché non parla mai della Calabria. Il livello di coinvolgimento di pezzi dello stato, a tutti i livelli, in pratiche di corruzione e collusione, in Calabria, è talmente “capillare” che uno scandalo a questi livelli, il governo giallo/verde, non se lo può permettere.
Credere alla Giustizia in Calabria è difficile, così come credere a certe sentenze che stridono con la realtà dei fatti che tutti i calabresi conoscono. Anche di fronte a tanta evidenza niente si muove, neanche la parte sana della magistratura calabrese che ben conosce queste odiose dinamiche, osa parlare, denunciare. La paura è tanta e nessuno vuole esporsi. Del resto, e lo abbiamo scritto tante volte per esperienza diretta, farsi nemico un giudice è la più grande iattura che possa capitare ad un calabrese. Perciò è meglio lasciare le cose così come stanno. Che è meglio per tutti, tranne che per gli onesti, che in Calabria, si sa, non contano niente.