Lettere a Iacchite’: “Cosenza, la nostra odissea all’Annunziata per un’interruzione di gravidanza”

Certo di per sé, l’interruzione di una gravidanza rappresenta sotto il profilo psicologico per un papà, ma sopratutto per una mamma, un colpo tremendo, ma quello che abbiamo vissuto sotto il profilo medico sanitario si avvicina di molto ad un Omerico racconto.

Andiamo per ordine: arriviamo all’ospedale martedì 9 luglio alle ore 8:00 circa, dopo la funesta notizia dataci dal ginecologo di fiducia il giorno prima, raccogliamo i cocci del morale a pezzi, e su consiglio del medico ci rechiamo di buon mattino in ospedale per effettuare un raschiamento.

Sembrava di essere al palio di Siena dove l’infermiera, nei panni del mossiere, dava il via alla corsa dei numerini: faccio la mia corsa e riesco ad avere un letto e l’infermiera mi dice: l’operazione si fa alle 14. Dopo un po’ ritorna e mi dice: l’operazione si fa alle 16. Ritorna ancora e mi ridice: l’operazione si fa alle 18. Fatto sta che finiamo con l’entrare in sala operatoria alle 19:40, dopo 12 ore di digiuno e senza bere nella stanza n. 6 del reparto con aria condizionata rotta.

Ed è qui che succede il primo errore: un ovulo che in gergo medico viene chiamato candeletta doveva essere somministrato per la dilatazione, almeno 2 ore prima dell’intervento, e invece viene somministrato alla mia compagna solo 50 minuti prima. Dopo 35 minuti, alle 20:15, la mia compagna esce dalla sala operatoria lamentando dolori accompagnati da un copioso pianto, ma io tiro un sospiro di sollievo: il dottore di turno, Francesco C. mi dice che il raschiamento è riuscito, penseremo dopo al recupero fisico ma sopratutto morale e psicologico. C’è solo da passare la notte e poi di routine ecografia e dimissioni. La notte passa tra dolori e pianti e la mattina mi confessa di avere avuto paura e che mai più ritornerà in ospedale.

Alle sue parole sorrido e, pensando al figlio perso, le do un bacio: è normale gli dico, tra poco saremo a casa. Sbagliato! La dottoressa di turno non concede le dimissioni, dice che c’è ancora qualche residuo e che bisogna fare una flebo per eliminarli definitivamente. Una flebo che provoca crampi e perdite. Andrai via stasera, dicono. E così nel mentre attendo la fine della flebo rivedo il famoso dottore dell’operazione e gli domando: dottò, ma è normale questa procedura? E lui, questa volta a testa bassa e sguardo rivolto a terra, mi ribadisce: l’operazione è perfettamente riuscita.

Ritorno in stanza: la flebo scende piano. Avviso l’infermiera di turno che mi dice: è così che deve andare, lentamente. Al che mi fisso a guardare la flebo che va a rilento e inizio a contare il tempo che intercorre tra una goccia e l’altra: una goccia ogni dieci secondi. Dopo un piccolo calcolo matematico viene fuori che per finire un litro di soluzione a questo ritmo ci vorrà quasi una settimana. Avviso di nuovo l’infermiera che mi ribadisce quello che aveva detto prima: è così che deve scendere la goccia! Altro rimprovero e chiedo scusa all’infermiera. Il tempo passa e il risultato inizia ad essere chiaro: braccio gonfio e dolorante al punto che bisogna cambiare mano alla flebo, la quarta flebo in un giorno. Non nascondo che ho iniziato ad avere paura. Penso: in questo reparto capiscono di medicina come io capisco di fisica nucleare.

La flebo continua a scendere lentamente ma di effetti che avrebbe dovuto (le perdite per eliminare i residui) provocare, neanche l’ombra. Chiedo al personale il perché dell’inefficacia della flebo, e le risposte che ricevo sono diverse e contrastanti: chi dice che tra poco arriveranno gli effetti, chi dice che bisogna attendere la notte, penso: forse è meglio chiamare il ginecologo di fiducia, anche lui del reparto, ma fuori sede al momento.

Lo contatto telefonicamente, gli spiego la situazione e mi dice: i dolori dovevano già venire e anche le perdite… si arrabbia, così come aveva fatto il giorno prima quando aveva dovuto insistere per dare l’ovulo (candeletta) la sera prima dell’operazione. Chiude il telefono dicendomi: tra poco arrivo e farò io l’ecografia.
Alle 16:30 circa nuova ecografia. La faccia del nostro ginecologo di fiducia è stupefatta, e dice: ma chi ha eseguito l’operazione? E dopo un momento di “panico” e facce tese dice: mi dispiace, ti devo operare di nuovo, il feto è ancora dentro…

Dopo tutto quello che avevamo già passato, a questa notizia la mia compagna non regge: in pochi istanti è in preda ad una forte crisi isterica: 2 ore di tremore, rabbia e paura, digiuno e sete.
Cerco di calmarla in tutti i modi, mi dice di ricordare che prima dell’operazione il dottore giocava al telefonino come chi cerca di risolvere il mistero dei geroglifici sul medaglione di Festo, cosa più importante del concentrarsi sull’intervento.

Alle 22,38 la mia compagna ritorna di nuovo in sala operatoria, questa volta ad operare è il nostro ginecologo di fiducia, il tutto dura 20 minuti, di cui otto di raschiamento, risultato: 2 anestesie totali in 24 ore, e 2 operazioni con contraccolpo psicologico ed emotivo devastanti.

Molti cercano di coprire il grave errore, qualcuno dice che può succedere. A questi io rispondo che da quello che ho imparato in mezzora può succedere che con l’arrivo del primo ciclo di mestruazioni, di solito dopo 40 giorni, l’ecografia può riscontrare raramente qualche residuo. Mai e poi mai può e deve succedere di subire un doppio identico intervento in 24 ore. Questa volta sono in difficoltà e devono ammettere l’evidente errore. Grazie per l’attenzione

Giacomo F.