Lettere a Iacchite’: “Lavoro? Sì, ma a che prezzo?”

Caro Direttore,
sono un giovane ragazzo e lavoro da qualche anno qui in Calabria ma dopo averci riflettuto molto, vorrei dare sfogo ad un tema molto particolare legato al mondo del lavoro.
Da qualche anno ormai si applica una pratica molto diffusa nella mia zona, parlo dello Jonio cosentino, ma che non esime il resto della regione da questa pratica deplorevole e subdola adottata dai datori di lavori. Ogni mese io, i miei colleghi, coetanei e l’80% dei lavoratori assunti presenti in tutta la regione, ci ritroviamo a percepire degli stipendi più bassi di quelli dichiarati in busta paga.

Questa forma di racket è il prezzo da pagare per avere un lavoro, ma ormai è quasi diventata una regola far firmare delle buste paga da 1.300,00 € e corrispondere una paga diversamente pattuita. Questo tipo di pratica e tutta a svantaggio del lavoratore ma a solo ed esclusivo vantaggio del datore di lavoro, che si troverà a percepire uno stipendio o un compenso già molto più alto rispetto a quello dei suoi collaboratori, che mi sembra anche giusto per i rischi che corre ogni giorno, alla quale poi sommerà la differenza di stipendio che il lavoratore gli darà indietro ogni mese ed in nero che intascherà eludendo il fisco ed ogni sorta di controllo.

Ma come fa ora che i pagamenti devono essere tracciati? Semplice, il datore di lavoro paga con bonifico o assegno, il lavoratore si recherà allo sportello preleva e consegna le somme indietro. E lo fa, sai perché? Perché non ce la possibilità di trovare altro lavoro, perché ha una moglie e forse anche un figlio a casa che aspettano quel poco per tirare avanti e perché magari non vuole partire per restare nella sua terra. Il discorso non cambia per la tredicesima, la quattordicesima ed il TFR, i modi sono sempre gli stessi.

Ma non finisce qui, perché ci sono anche persone assunte part-time a 24 ore alla settimana che in realtà lavorano molto più che a tempo pieno, lavoratori costretti a mettersi in malattia ma che in realtà lavorano e vengono pagati con i soldi della malattia, cioè con l’indennità dell’INPS che normalmente ti spetterebbe per il periodo di convalescenza. TUTTO QUESTO DEVE FINIRE.

Quando si va dal datore di lavoro a chiedere di rispettare i propri diritti questo ci dice che non ha soldi, non sa come fare, che altrimenti deve chiudere, la situazione è questa che se non ci sta bene ce ne possiamo anche andare. Non siamo fessi ma è la nostra parola contro la sua, anche se facessimo una vertenza è la nostra parola contro la sua anche perché c’è un pagamento ed una usta paga firmata. Il rischio maggiore è che se ci licenziamo perché i nostri diritti non vengono rispettati, attorno a noi viene fatta terra bruciata in quanto nessuno vuole avere rompiscatole in mezzo ai piedi che non sono sarebbero riconoscenti nei confronti di chi lo fa lavorare.

Poi la domanda è sempre quella: come mai tutti questi giovani vanno via dal sud? Beh, la risposta è la miopia delle istituzioni che è già a conoscenza di questi sistemi.
Poi ci vengono a dire che al sud sono tutti fannulloni, vagabondi e senza voglia di lavorare.
Questo è un monito, un appello per le istituzioni a vigilare e cercare di arginare questo fenomeno così diffuso ma soprattutto per quei lavoratori che si trovano in queste condizioni.
Se noi tutti chiederemo il rispetto dei nostri diritti queste pratiche illegali e truffaldine finiranno e nessuno più si piegherà a queste condizioni così umilianti.

Lettera firmata