Quello di cui dovremmo preoccuparci tutti, in questo tragico momento, più che delle polemiche sterili e delle critiche insensate, è come fermare il propagarsi del virus, che ha iniziato ad attecchire, ahimè, anche da noi. Infatti, dopo la prima massiccia ondata di rientri, dal nord verso il sud, avvenuta tra il 22 e il 24 febbraio scorsi, la situazione che si registra nella provincia di Cosenza, in merito ai contagi, è in continua ascesa. E non ci vuole uno scienziato per capire che i tanti contagiati di queste ultime ore sono la conseguenza di questi azzardati rientri. A dirlo sono le autorità sanitarie, non certo noi. E se tanto mi dà tanto, non è infamante dire che la drammatica situazione che stiamo vivendo – e che ancora non ha raggiunto il picco previsto dai sanitari per il 25 di questo mese, calcolato proprio in base alla data di rientro degli “emigrati” (un mese di incubazione) – è la nefasta conseguenza dell’irresponsabilità di chi, e lo diciamolo a viso aperto, in piena pandemia al Nord, ha deciso di rientrare nel proprio paese al Sud senza preoccuparsi che tale scelta avrebbe potuto, così come sta succedendo, aggravare la nostra situazione.
Come definire tutti coloro i quali sono rientrati di nascosto, molti dei quali portatori inconsapevoli del virus, senza avvisare le autorità sanitarie? Come definire tutti coloro i quali si sono preoccupati di fare “carte false” per far risultare di non essere stati al Nord negli ultimi mesi? Perché nascondere questo? Forse che l’aver lavorato al Nord è una vergogna? Come definirli allora? Irresponsabili, incoscienti, sconsiderati, scriteriati?
Di sicuro sono ignoranti e questo perché da noi c’è ancora chi pensa che l’aver contratto il virus è una grande vergogna da nascondere. Perciò in tanti negano di essere stati al nord: è meglio nascondere i sintomi, e il rientro, piuttosto che passare da untore. È questa la grande paura che scaturisce dall’ignoranza: meglio infettare gli altri di nascosto che essere additati palesemente da tutto il paese come untori. Una vergogna che potrebbe infangare il nome della famiglia per sempre e che è meglio nascondere. Così la pensano in tanti.
E allora, cosa possiamo fare per difenderci, oltre che dal virus di cui oggi conosciamo la velocità con cui si propaga, da questa ignoranza? Bastano le mascherine e i guanti? No di certo! Come possiamo far comprendere agli stolti, che hanno in mano il futuro della nostra terra, che essere ammalati non è una vergogna, e che continuare a nascondere amici e parenti arrivati dal Nord, è un danno che potrebbe avere conseguenze disastrose? Come fargli capire che solo circoscrivendo possibili focolai, possiamo risolvere il problema? Ma il guaio prodotto dall’ignoranza non finisce qui. Oltre al picco atteso per il 24-25 di questo mese, bisognerà attendere anche il picco della seconda ondata di rientri dal nord verso il Sud avvenuta tra il 7 e l’8 marzo, e che verosimilmente si manifesterà attorno al 7 aprile. Se le autorità sanitarie non sanno “dove cercare”, viene da chiedere agli stolti e ai sostenitori degli stolti: come pensate di fermare il contagio? Ci volete per caso vedere tutti morti? Senza contare che per tutto questo la quarantena sarà prolungata ancora per tutto il mese di aprile. E non si sa fino a quando.
Dire ciò non significa incoraggiare la delazione, ma prendere coscienza di quello che realmente sta accadendo per porre rimedio al dilagare del virus. Del resto basta guardare le immagini che arrivano da Bergamo per capire la gravità della situazione. Quello che alcuni non hanno ancora capito è che qui non è in gioco “l’onorabilità” di qualche famiglia che viene segnalata alle autorità sanitarie, ma la salute e la vita di una intera comunità. Il virus, purtroppo, non si ferma né con le chiacchiere, né con le bugie. Ma solo “isolando i contagiati”. Che non vuol dire, come pensa qualche deficiente denigrarli o discriminarli, ma al contrario, significa prendersi cura di loro e arginare il contagio. Se non capiamo questo siamo spacciati.
Il senso di responsabilità e la coscienza di ognuno dovrebbe, in casi come questi, prevalere sull’ignoranza, e invece da noi c’è chi ancora pratica il contrario. In tanti pensano di tutelare e “curare” la propria famiglia “con l’omertà”, scagliandosi contro chi ha avuto il coraggio di denunciare alle autorità sanitarie “casi sospetti”. Senza rendersi conto, vuoi per menefreghismo, vuoi per egoismo, vuoi per ignoranza, che questa battaglia si vince solo se tutti facciamo con coscienza e sacrificio la nostra parte. Avvisare le autorità sanitarie su possibili focolai non è delazione, ma un atto d’amore verso se stessi, la propria famiglia e la comunità. Già, ma come farglielo capire?