di Davide Milosa
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Un contatto dopo l’altro, tornando indietro sull’asse temporale, percorrendo i cerchi allargati delle relazioni interpersonali, annotando abitudini e hobby. Fino ad arrivare all’inizio del mese di gennaio per piantare la bandierina di un primo possibile caso di Covid-19 in Lombardia. Questo è scritto nel rapporto di 30 pagine messo insieme dagli esperti dell’Unità di crisi della Regione. Il documento illustra l’andamento del primo focolaio di Covid-19 in Europa. La ricerca si basa sull’analisi delle prime due settimane di contagio studiando 5.830 casi positivi rilevati alla data del 5 marzo a partire dal primo identificato il 20 febbraio a Codogno.
È attraverso lo studio di questi soggetti e delle loro relazioni strette che gli esperti sono tornati indietro nel tempo dividendo la linea cronologica in tre periodi: quello prima del 19 febbraio, quello tra il 20 e il 25 febbraio e l’ultimo dal 26 al 5 marzo. Il periodo che colpisce è certamente il primo: fissa un possibile contagio ai primi di gennaio. Di più: fino al 19 febbraio nelle province lombarde più colpite sono ben 385 i possibili contagiati rilevati dagli investigatori dell’Unità di crisi. Qui il grafico indica una lenta progressione fino alla metà di gennaio, dopodiché lo sviluppo si fa più consistente per esplodere a ridosso del 20 febbraio.
Da quel momento e in meno di 72 ore i contagi si allargheranno a tutte le province lombarde. I casi di gennaio vengono collegati a ipotesi Covid (non tutte verificate col tampone), da un lato ricostruendo i contatti dei positivi e dall’altro confrontandoli con le linee dell’Oms che alla fine di dicembre aveva diffuso la sintomatologia del nuovo virus.
Dopo una indicazione proprio al 1° gennaio, l’incremento dei possibili casi si fa rilevante già dal 14. Con una diffusione geografica a quella data decisamente precisa. Sulla mappa della Lombardia in quel momento due piccole macchie blu rappresentano possibili soggetti Covid. La prima si trova a nord-ovest di Milano, la seconda nell’area del Basso Lodigiano. Attorno al 20 gennaio si evidenzia una diffusione netta nella zona della Bergamasca a partire dai comuni di Curno, Gazzaniga fino a quelli di Nembro e Alzano. Nella stessa striscia temporale parte il focolaio nella provincia di Cremona. Sono soprattutto questi tre cluster (gruppi comprendenti ognuno diversi comuni) che vengono analizzati dal rapporto.
Si comprende così che a gennaio la progressione è già veloce con 91 casi in provincia di Bergamo, 132 nel Lodigiano, 59 a Cremona, 38 a Brescia. Ma è la zona della Val Seriana a correre più degli altri con contagi arrivati subito dopo il 20 febbraio a 307 rispetto ai 258 del Lodigiano. La cosa è tanto vera anche rispetto al periodo di raddoppio del virus, fissato per la provincia di Bergamo in 3,1 giorni, mentre per Lodi e Cremona l’intervallo sta tra il 3,5 e il 3,4 giorni. Il che colloca i comuni della Val Seriana al vertice con un “R con zero” (quanti individui può contagiare un malato) di 2,9, mentre Lodi e Codogno non superano il 2,5. A Bergamo la curva esplode tra l’8 e il 14 febbraio. A Cremona il balzo lo si nota a partire dall’11 febbraio, mentre a Codogno dal 24 alla fine di gennaio sia ha un “R con zero” di 0,9 (come l’influenza) che cresce con progressione costante.
Il rapporto pur restando di rilevanza internazionale, deve essere valutato per la sua metodologia che non riguarda lo studio delle sequenze virali di SarsCov2. Su questo fronte al momento abbiamo un certezza: il virus in Italia è entrato il 26 gennaio.
Questo mostra lo studio dell’équipe del professor Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano. L’analisi a ritroso seguendo gli errori di replicazione del virus a Rna ci conduce a un punto zero fissato tra 25 e 26 gennaio. Data in cui il paziente zero italiano rientra dalla Germania (prima porta d’ingresso in Europa) dove un piccolo cluster viene individuato già il 22 gennaio.
La data del 26 gennaio emerge dallo studio dei primi tre ceppi isolati in pazienti di Codogno. In queste ore, l’équipe del professor Galli sta studiando proprio i ceppi di Bergamo per capire se questi rappresentino nuovi ingressi anteriori al 26 gennaio oppure se siano riconducibili sempre a Codogno. “Al momento – spiega al Fatto il professor Galli – a meno che lo studio delle sequenze bergamasche riveli una introduzione indipendente e più precoce, la possibilità di un caso prima del 26 gennaio è da escludere”.