Rimini, il giro di fatture false e il riciclaggio di Rocco Lico: l’imprenditore aveva trovato la “falla nel sistema”

Fatture false per oltre 20 milioni di euro, reati come usura, estorsione e truffa aggravata hanno portato in carcere un imprenditore di origine calabrese, Rocco Lico, di Vibo Valentia, ritenuto capo di un’associazione a delinquere operante in almeno sei province italiane.

L’operazione

Le società e il coinvolgimento

“Never Dream” ha coinvolto l’attività di 36 società utilizzate per riciclare ed emettere fatture false dal 2016 in poi. Lunga la lista dei reati che vanno da associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture inesistenti, truffa, riciclaggio ed auto-riciclaggio, usura, estorsione, trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori, indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento, falsificazione di monete, spendita e introduzione di monete falsificate. Le indagini – come ha sottolineato il procuratore capo di Rimini, Elisabetta Melotti – hanno visto l’impegno congiunto e la stretta collaborazione» di carabinieri e guardia di finanza e hanno consentito di disarticolare un sodalizio criminale con base nel Riminese.

Secondo gli investigatori tutto ruotava intorno alla figura di Rocco Lico, 46 anni originario di Vibo Valentia, che con la compagna Monica Vicino, 47 anni di Rimini e Pietro Lafabiana 49 anni di Misano Adriatico, gestivano quello che era diventato un business con un giro d’affari fino a 20 milioni di euro. Lafabiana, braccio destro di Lico ed ex gestore di un locale sulla spiaggia di Misano Adriatico, ha alle spalle recenti vicende giudiziarie. Altre due persone sono ai domiciliari, altre due le misure interdittive da esercizio attività d’impresa; un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e un obbligo di dimora. Sette misure riguardano poi i sequestri preventivi funzionali alla confisca.

Le intercettazioni telefoniche

Intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite dai carabinieri di Riccione e indagini fiscali e finanziarie della Guardia di Finanza hanno portato alla luce il coinvolgimento di 36 società italiane e due imprese in Lituania. In totale sono state emesse fatture false per operazioni inesistenti per 20 milioni di euro un’Iva evasa di circa 3,4 milioni. Sequestrati al fine della confisca cinque appartamenti, un terreno, quote sociali per circa 46.000 euro, 12 tra auto e moto, 20 conti correnti, fino a concorrenza dell’importo di complessivi valori per circa 9 milioni di euro. L’indagine era partita nel 2016 con la verifica da parte di un’altra Procura di una segnalazione a carico della società Dream Italian Style di San Clemente nel Riminese, destinataria di gran parte delle fatture false e da cui prende il nome l’intera indagine.

L’episodio di usura riguarda un distributore di carburanti: al titolare venivano applicati interessi del 75%. L’estorsione invece ha colpito un negozio di articoli per bambini: il titolare era stato costretto a firmare assegni in bianco poi incassati per un valore di 15mila euro. Le vittime inizialmente non hanno denunciato ma quando hanno capito che gli elementi in mano agli inquirenti erano importanti.

IL COMUNICATO DELLA PROCURA

Complesse e articolate le indagini che, con l’ausilio di prolungate intercettazioni telefoniche ed ambientali e l’esame di ingente documentazione contabile, societaria e bancaria, hanno permesso di evidenziare tutti gli elementi di colpevolezza a carico delle 22 persone indagate coinvolte, a vario titolo, nella perpetrazione dei reati tributari di ben 36 imprese dislocate su tutto il territorio nazionale e due imprese situate in Lituania: queste servivano anche per ottenere le agevolazioni fiscali previste per gli esportatori abituali.

Nello specifico, è stato constatato a carico di 5 società l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo di circa 20.000.000 ed un’IVA di circa 3.400.000 euro.

Il personaggio a capo dell’organizzazione criminale, Rocco Lico, con la collaborazione diretta ed indiretta di tutti i suoi sodali e, in particolare, avvalendosi di un consulente fiscale – non iscritto a nessun ordine – anch’egli indagato e posto agli arresti domiciliari, aveva trovato una “falla nel sistema” ed ideato, pianificato e costruito in questi ultimi anni un meccanismo finalizzato a produrre impressionanti surplus di IVA a credito, sia a mezzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, che mediante esportazioni fittizie di ingenti quantitativi di materiali verso l’estero – la Lituania, in particolare – con lo scopo di ottenere un ingente arricchimento personale. Successivamente, le società riconducibili allo stesso “dominus”, utilizzavano i crediti IVA fittizi per l’indebita compensazione delle imposte dovute, nonché per operazioni di accollo di debiti tributari attraverso la stipula di specifici contratti con società terze beneficiarie, per un importo accertato pari a 1.415.000 euro.

La indagini hanno appurato anche il “riciclaggio” o “auto-riciclaggio” di parte del denaro proveniente dalla commissione dei reati tributari, pari a circa 315.000 euro. Una pratica che ha consentito il graduale e consistente arricchimento del dominus e di altri appartenenti all’associazione per delinquere ma anche di ulteriori soggetti terzi che hanno avuto contatti più o meno assidui con gli indagati.
Alle prime ore dell’alba Carabinieri e Fiamme Gialle hanno dato seguito all’esecuzione del decreto col quale l’Autorità Giudiziaria di Rimini ha disposto 3 custodie cautelari in carcere, 2 arresti domiciliari, 2 misure interdittive, 1 obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria, 1 obbligo di dimora.

Scattato anche il sequestro preventivo – funzionale alla confisca per equivalente del profitto derivante dai reati tributari, dal riciclaggio ed auto-riciclaggio di proventi illeciti, dal reato di usura – sui beni intestati o nella disponibilità degli indagati, ovvero, 5 unità immobiliari, 1 terreno, quote sociali per circa € 46.000, 12 mezzi (autoveicoli, motoveicoli e ciclomotori), saldi attivi di 20 rapporti finanziari, fino a concorrenza dell’importo di complessivi valori per circa 9 milioni di euro.