Grazie alla splendida salvezza conquistata con lo Spezia, il direttore sportivo Mauro Meluso, cosentino purosangue ed ex diesse del Cosenza, “scappato” via dalle grinfie di Guarascio, era diventato uno dei professionisti più in auge del calcio italiano, anche perché quella salvezza miracolosa arrivava dopo il doppio salto dalla Serie C alla Serie A con il Lecce. Adesso, dopo un anno di inattività in cerca del progetto giusto, approda alla grande al Napoli Campione d’Italia. In questo articolo, ricostruiamo il suo percorso giovanile, che comincia da un quartiere popolare cosentino, quello di via Panebianco.
Cosenza un tempo finiva alla “salita di Pagliaro”, a qualche centinaio di metri da quella che sarebbe diventata Piazza Fera. Il resto era aperta campagna. Dove non c’era l’erba, c’erano strade. O al massimo qualche baracca di nomadi.
La strada statale 18 è quella che porta al mar Tirreno ma se la percorri tutta alla fine ti porta a Napoli e iniziava già dal territorio di Cosenza. Non appena i governanti capirono che la città poteva continuare anche oltre la “salita di Pagliaro”, nacque, un paio di chilometri più avanti, la traversa “Panebianco”.
Non provate a chiedere ai residenti di quella che ben presto si sarebbe chiamata via Panebianco perché si chiama così.
Vi risponderanno: “Si è sempre chiamata così…”.
Forse Panebianco era uno storico, magari si chiamava Emilio o forse Panebianco prendeva il nome dal prodotto del lavoro faticoso del mulino dei fratelli Bruno che sorgeva proprio lì. Chissà…
Negli anni Cinquanta, il quartiere è già vivo e vegeto e c’è anche qualcuno che gioca a pallone, nel campetto ricavato dallo spiazzale del deposito di legname della Feltrinelli, impresa che impiegava tanti padri di famiglia. Pietro Costabile era il titolare di un’impresa di manufatti in cemento che aveva sede in via Panebianco 73 e anche lui dava lavoro a molti residenti nel quartiere.
Suo figlio Ettore fondò la “Società sportiva Pietro Costabile”, il primo tentativo di squadra di quartiere a via Panebianco.
Qualche anno dopo nasce l’Unione sportiva Spartak Panebianco, che era animata da una sezione cittadina del Partito Comunista nella quale militavano, tra gli altri, Alfredo Montera, il titolare del panificio, Gaetano Belmonte e Filippo Domma.
Arriviamo così agli anni Sessanta, quando viene fondata, nel cuore del quartiere di via Panebianco, la Società sportiva Torre Alta, che inizierà a dare le prime grandi soddisfazioni in termini agonistici ai ragazzi di Panebianco. Parliamo della famiglia Flavio, di Gigino Cristo, che diventerà un calciatore di spicco nella Morrone, di Nino Candido, Pino Vivone, Santino Pellico e Cosimo De Tommaso, oggi sindaco di San Lucido, giusto per citare i più “famosi”. Verso la fine degli anni Sessanta sarà Franco Dodaro a ridare slancio alla società, che sfornerà grandi talenti tra i quali Vincenzo Liguori, Tonino Cristiano, Mimmo Sirianni, Mimmo Cacozza, Franco Carbone, Franco Giordano e Franco Fontana. Successivamente si riveleranno con la Torre Alta anche Salvatore Bennardo e Franco Mirabelli. Non sono mancati i derby nei campionati Allievi e Giovanissimi.
Panebianco, bar Belvedere. Nel 1972 nel quartiere c’è voglia di calcio. Un gruppo di amici coltiva questa passione organizzando partite e trascinandosi dietro nugoli di ragazzini.
Il più attivo è Santino Palermo, il più bravo a mettere d’accordo tutti e ad aggregare decine e decine di persone solo per una partita di calcio. Tonino Biafora, molto conosciuto nel quartiere per essere titolare del negozio di abbigliamento “Boom” (che sarà inevitabilmente lo sponsor della squadra), il maresciallo Ernesto Mungo, il signor Figliuzzi, i fratelli Gualtieri e De Rose, Peppe Catalano, Ettore Pennino e Fulvio Facciolla sono gli amici di sempre di Santino Palermo ed è anche grazie a loro che nasce l’idea di fondare la “Società sportiva Panebianco”, erede diretta di “Pietro Costabile” e Spartak. La sede è un magazzino vicino all’ex polveriera.
Inizia da qui un percorso lunghissimo di oltre vent’anni attraverso i quali quella società nata senza pretese riuscirà a formare decine di calciatori di belle speranze con un fiore all’occhiello, quel Mauro Meluso che ha avuto l’onore di indossare la maglia della Lazio ritagliandosi un piccolo spazio di gloria in un’epoca in cui stava avviandosi l’invasione degli stranieri. Un centravanti di grande tecnica che ha avuto una carriera dignitosa ma che non è riuscito a confermare tutte le aspettative che si nutrivano in lui.
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Meluso è tornato a Cosenza dopo 35 anni. Ovviamente non ha mai dimenticato le sue origini ma ogniqualvolta si è parlato di un suo possibile ritorno, sia da calciatore che da diesse, qualcosa è sempre andato storto.
Quella volta però non ci saranno ostacoli. E Mauro Meluso è tornato nella sua Cosenza. Ma non è questa la sede per riportare alla luce storie troppo recenti e che hanno creato una situazione imbarazzante perché tutti sanno ormai che Meluso è stata una delle tante vittime disseminate da Guarascio nel suo decennio al ponte di comando del Cosenza Calcio. Lo abbiamo già fatto, del resto, in questo “pezzo” (https://www.iacchite.blog/cosenza-i-due-anni-di-meluso-e-le-millefacce-di-guarascio/).
E allora torniamo alla Panebianco e all’inizio della storia di questo ragazzo cosentino che ha toccato il cielo con un dito all’alba degli anni Ottanta.
Insieme al presidente Palermo, saranno due grandi appassionati a trasmettergli il “sacro fuoco” del pallone: Attilio Granata e Vincenzo Ziviello. Il primo è l’allenatore, il secondo il preparatore atletico e il segretario, insomma il factotum.
Granata faceva il fabbro alla Riforma ma è cresciuto in una famiglia di calciatori. I più fortunati sono stati Vincenzo e Francesco, meglio conosciuto come “Ciccio Pirrito”, che aveva militato a lungo nella Cariocas e poi era passato alla Morrone diventandone una bandiera. Anche Attilio giocava, ma non ai livelli di Ciccio. E l’avrebbe fatto anche nella sua Panebianco, disputando una serie di campionati in Seconda e Terza Categoria.
Il suo carisma è sempre stato fuori discussione. Come ogni bravo allenatore, usa bastone e carota e riesce a leggere le partite con competenza e abilità. Ma la sua dote migliore è quella di spronare i ragazzi come nessuno. Leggendarie le sue urla di incitamento, qualche volta anche contro gli arbitri, a dire il vero. Ma leggendari anche i suoi slanci di generosità e solidarietà.
Nel 1976 la Panebianco vince il titolo di Campione provinciale Allievi succedendo alla Friends di Walterino Perrotta, all’ultima Cariocas di Pietro Florio, alla Popiliana di Vincenzo Perri e alla Boca River di Sergio Chiatto e Bebè De Maddis.
Nel gruppo di ragazzi laureatisi Campioni, il più promettente è l’ala Luigi Matteagi, che sarà ceduto al Napoli per 5 milioni di vecchie lire (subito investite nell’acquisto di un furgone…). Altri elementi di spicco il portiere Mario Palmieri, i terzini Franco Scrivano e Mario Ricci, lo stopper Giuseppe Iuele, le mezzale Massimo Fortino e Franco Iadanza, l’ala Eugenio Rega e il centravanti Natalino De Marco.
Ma alle spalle di questo primo gruppo vincente scalpita già un’altra nidiata. Dal 1976-77 al 1978-79 la Panebianco vince tre campionati Provinciali Esordienti consecutivi. Il grande protagonista del primo successo dei “ragazzini” è un centravanti che manifesta subito qualità superiori a tutti quelli della sua età. E’ Mauro Meluso, classe 1965 (è nato proprio il primo gennaio).
“Abitava dalle parti di piazza Europa – afferma Santino Palermo -. Suo padre (scomparso recentemente, ndr) insegnava al liceo classico. Quando venne in società non lo accpmpagnava nessuno, però, nonostante fosse ancora un ragazzino. Aveva un fisico già ben delineato e non ho avuto esitazioni a tesserarlo, anche perché vedevo la sua passione dallo sguardo. In effetti è stato un talento precocissimo. Nel 1976, a undici anni, guidava la squadra degli Esordienti a suon di gol. Era un centravanti che puntava la porta ma che riusciva pure a svariare e a giocare il pallone. Si vedeva subito che era di un altro pianeta. L’anno successivo è passato ai Giovanissimi e ha giocato anche qualche partita con gli Allievi. Ma le sue imprese non passavano certo inosservate e così già nel 1978, quando non aveva ancora compiuto quattordici anni, l’ha preso il Rende. Ma con noi ha giocato gli anni più importanti, quelli della formazione come calciatore”.
Palermo aggiunge un particolare. “La sera, quando finivamo l’allenamento, ci ritrovavamo in sede per fare qualche piccola riunione organizzativa. Lui era sempre l’ultimo ad andare via, qualche volta glielo dovevo anche ricordare. Se avevo capito che avrebbe fatto il calciatore? E come facevo a non prevederlo? Talenti così non ne nascono molto spesso”.
E poi ricorda una vittoria che gli è rimasta nel cuore.
“Nel 1978 era venuto a mancare uno dei fondatori della Panebianco, il maresciallo Ernesto Mungo, una persona speciale alla quale tutti noi volevamo bene, e abbiamo deciso di organizzare un torneo alla sua memoria. E’ chiaro che i nostri ragazzi si sono impegnati al massimo per vincerlo ma dovevamo battere squadre molto più attrezzate di noi. Come il Rende, che aveva già un settore giovanile all’avanguardia grazie all’opera di quel marpione di Giancarlo Manna (scomparso recentemente, ndr). Mauro Meluso era il nostro capitano e guidava l’attacco. Il Rende segnò due gol e pensava di aver chiuso la partita. Ma non aveva fatto i conti con la nostra voglia di vincere. Alla fine abbiamo vinto 3-2 e Mauro segnò il secondo e il terzo gol, l’ultimo proprio allo scadere. E’ stata una delle più belle vittorie che abbiamo mai conquistato”.
Mauro Meluso precede di circa un decennio l’exploit dei vari Perrotta, Gattuso, Fiore e Morrone e segue la tradizione di Rizzo e Garritano. Tutti hanno in comune la provenienza dalle squadre di quartiere, splendida stagione del calcio cosentino prima dell’avvento delle scuole calcio.
Quella di Mauro è la Panebianco. Il primo amore non si scorda mai.
Con la Panebianco ha vinto due titoli provinciali Esordienti e il Memorial Mungo.
Nell’autunno del 1978 Mauro Meluso approda al Rende. Da Attilio Granata ad Antonio Vita, che ha smesso di giocare da poco dopo una lunghissima carriera con il Cosenza. Gioca i campionati “Berretti” e “Allievi” e ogni giovedì la partitella con la prima squadra che dominerà il campionato di serie C2, nonostante sia una neopromossa. E’ il Rende di Nasuelli e Facchinello, di Ipsaro e Marletta, di Fiore, Pasquino e Morosini, di De Brasi e Chiappetta.
Il settore giovanile è stato costruito intelligentemente, attingendo a piene mani al serbatoio delle squadre di quartiere. Dalla Panebianco, oltre a Meluso, arrivano tanti altri talenti.
Il mediano Massimo Massarini, gran cursore di temperamento, che esordirà dopo pochi anni con la maglia biancorossa in serie C2.
Il difensore Mario Tormento, un mastino che sapeva toccare bene il pallone, titolare inamovibile per diverse stagioni.
Il regista avanzato Francesco Imbrogno – purtroppo prematuramente scomparso -, dalla grande tecnica individuale, il “gemello” di Meluso ovvero Marcello Rizzuti, da Serrapedace, una freccia quando partiva in progressione. E ancora: Pino Vecchio – anche lui recentemente scomparso -, Francesco Belmonte, Fabio Leonetti, Marco De Simone, Giorgio Crispino, Michele De Luca, Maurizio Gardi.
Ma non solo. Dalla Cariocas erano arrivati Paolo Paura, Franco Fazio, Sagario e Leo e dalla Popiliana il portiere Perrotta.
Meluso viene impiegato da ala destra con la “Berretti” e da centravanti con gli Allievi. Il suo fisico è aitante (è alto 1,80 e pesa 66 kg) e lo agevola notevolmente e lo fa sembrare decisamente più grande della sua età.
Il suo primo capolavoro arriva a Reggio Calabria. Il Rende non ha niente da perdere e invece espugna a sorpresa il “Comunale”. Vita ha schierato una formazione a trazione anteriore con Meluso ala destra, Sagario centravanti “tattico” e Coppolillo ala sinistra. Un tridente che manderà in crisi gli amaranto. Segnano Mauro e Sagario e la Reggina deve accontentarsi soltanto del gol della bandiera.
Meluso e Rizzuti in quella stagione saranno convocati nella selezione Calabria Giovanissimi. Sono ancora in età e daranno un valido contributo.
Nella primavera del 1979 molti osservatori fanno capolino al “Marco Lorenzon” per vedere da vicino il ragazzo prodigio che gioca con la “Berretti” a quattordici anni. E rimangono incantati. Soprattutto Franco Janich, ex stopper del Bologna, all’epoca responsabile del settore giovanile della Lazio.
Meluso si sottopone con la dimensione del sogno ad occhi aperti alla trafila dei provini con i club professionistici. La Lazio lo cerca più volte e si convince a tesserarlo nonostante sia ancora poco più che un ragazzino. Ha ancora un altro anno di Allievi e due di Primavera, avrà tutto il tempo di affinarsi e capire i segreti e i trucchi del mestiere.
Esordisce in serie A nel 1983 quando non ha ancora compiuto 19 anni. Gioca 12 minuti in un Lazio-Juventus finito 1-0 per i bianconeri di Trapattoni: gol di Platini.
Meluso è la riserva di Giordano e Laudrup ma per la partita con l’Avellino all’Olimpico, il 6 novembre 1983, il tecnico Giancarlo Morrone, che stravede per Mauro, li fa giocare tutti e tre. Meluso indossa la maglia numero sette.
Al 26’ sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Meluso risolve una mischia e segna. Non basta: cinque minuti dopo Mauro è addirittura più veloce di Giordano e mette in gol la palla del 2-0.
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La Lazio lo manda a Cremona, sempre serie A, alla corte di Emiliano Mondonico, che però gli preferisce Chiorri e Nicoletti e lo manda quasi sempre in panchina: 12 partite e un solo gol.
La Lazio lo molla e per Meluso ci sarà poca gloria tra Salerno, Monopoli, Foggia, Casarano, Messina e Fermana.
A Foggia, in B, nel 1989-90, Meluso aveva iniziato alla grande il campionato ma un maledetto infortunio gli aveva compromesso la strada per il ritorno nell’Olimpo del calcio. Oggi, a più di 30 anni di distanza, Mauro in quell’Olimpo ci è finalmente ritornato prima con il suo Spezia dei miracoli e adesso con il Napoli: un sogno che non ha nessuna voglia di mollare. E noi cosentini facciamo il tifo per te. Ara faccia i Gargamella, a buon intenditor poche parole.