Autobomba di Limbadi, ergastolo per Vito Barbara e Rosaria Mancuso

Il fermo immagine tratto dal Tg1 mostra vigili del fuoco e inquirenti sul luogo dove un uomo di 42 anni, Matteo Vinci, è morto a Limbadi, nel Vibonese, nello scoppio dell'auto che stava guidando, 09 aprile 2018. Ferito gravemente il padre di Vinci, Francesco, di 70 anni. L'ipotesi che viene fatta dai carabinieri è che a provocare lo scoppio sia stata una bomba collocata nel vano portabagagli della vettura. ANSA/FERMO IMMAGINE TG1

Quattro condanne, tra cui due ergastoli. Ha retto l’impianto accusatorio della Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri per i quattro imputati nel processo sull’ autobomba di Limbadi che il 9 aprile 2018 ha causato la morte di Matteo Vinci, ex rappresentante di medicinali, e ha provocato il ferimento del padre settantenne Francesco Antonio.

La Corte di Assise, presieduta da Alessandro Bravin, ha inflitto a Vito Barbara il carcere a vita più l’isolamento diurno per 12 mesi (il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi), fine pena mai anche per Rosaria Mancuso (il pm aveva invocato l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi). I giudici hanno inoltre sentenziato per Domenico Di Grillo 10 anni di reclusione (il pm aveva chiesto  20 anni)  e 3 anni e sei mesi per Lucia Di Grillo, (nei cui confronti il pm della distrettuale Andrea Mancuso aveva invocato 12 anni di reclusione. I quattro imputati sono accusati a vario titolo di omicidio tentato e consumato, con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e  rapina.

Alla base dell’omicidio ci sarebbero stati problemi di confine: Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso, identificati come gli ideatori e i promotori, avrebbero costretto i coniugi Francesco Antonio Vinci e Rosaria Scarpulla parti civili nel processo, a cedere il fondo, sito a Limbadi, in contrada Macrea,  dei quali erano proprietari, solo perché quell’immobile era ubicato all’interno di una zona sottoposta al controllo della famiglia Mancuso. Avrebbero approfittato di un momento in cui Matteo Vinci si trovava in una zona isolata con il padre, “collocando o coordinando e disponendo che altri collocassero” una radio bomba  sotto la Ford Fiesta di Francesco Antonio guidata da Matteo, facendola poi esplodere, provocando la morte di Matteo “per carbonizzazione, quindi tra atroci sofferenze”, con l’aggravante di aver commesso l’omicidio  con crudeltà, per futili e abietti motivi e con le tipiche modalità mafiose, causando, inoltre, al padre lesioni personali, ustioni di secondo e terzo grado, ponendo in essere atti diretti ad ucciderlo, “evento non verificatosi per la tempestiva fuga  di Francesco Antonio Vinci dalla macchina in fiamme”. A Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso viene contestato, anche, di aver illegalmente detenuto, portato in luogo pubblico l’ordigno per l’esecuzione dei delitti e di aver distrutto la Ford Fiesta. Fonte: Calabria 7