Cosenza. Via Roma: il preside Ciglio difende l’ultima enclave occhiutiana

La fine o no dell’occhiutesimo (la dottrina che per oltre un decennio ha imperato a Cosenza, i cui “principi fondanti” si ispirano alla trilogia del marpione che stabilisce le tre azioni basilari che ogni occhiutiano è tenuto a rispettare: frizzi, lazzi e intrallazzi) passa, per chi ne auspica la fine e per chi vorrebbe continuasse, attraverso la chiusura o la riapertura al traffico veicolare, della striscia di asfalto più famosa della città: via Roma. Ed è proprio nel centro della città, in contemporanea all’assedio di Kiev di queste ore, che si sta consumando il sanguinoso scontro ideologico tra le due fazioni: gli occhiutiani e gli antiocchiutiani. Teatro dello scontro la piazza (si fa per dire) più rappresentativa, per gli anti, dell’arroganza del potere occhiutiano: piazza Stefano Rodotà. Una piazza, dicono i partigiani di Franz, che di fatto nella “urbanistica” cosentina non è mai esista, voluta da Occhiuto, non per dare uno “spazio giochi” ai bambini come vorrebbe far credere al resto del mondo con la sua falsa propaganda, ma per favorire le sue ditte amiche in odor di mafia pronte a fare, dietro lauto pagamento, di ogni via una piazza. Una tesi che, ovviamente, ha irritato gli occhiutiani che hanno trasformato piazza Rodotà, simbolo dello splendore e della visione occhiutiana di una “Grande Cosenza”, nell’ultima enclave di resistenza dell’occhiutesimo.

Quello che in queste ore sta avvenendo in piazza Rodotà somiglia molto a quello che succede storicamente ogni qualvolta una comunità “rovescia” un regime dittatoriale: la prima cosa che fa la gente dopo essersi “liberata” da un dittatore è quella di distruggere tutti i simboli che ricordano l’oppressione e l’oppressore. E la distruzione della fittizia piazza, rappresenta, nell’immaginario collettivo, o meglio tra chi con l’avvento dell’incappucciato Franz si sente “liberato”, la distruzione simbolica dell’ideologia occhiutiana. La fine della tirannia. Tirare giù la statua del dittatore, per chi ha lottato per la libertà, equivale ad innalzare la bandiera della vittoria sul pennone più alto della città. Un “gesto” dall’alto contenuto simbolico. Ed è per questo che i partigiani di Franz non vogliono rinunciare ad abbattere questo simbolo, e spegnere l’ultimo focolaio di resistenza occhiutiana.

A difendere l’ultima l’enclave occhiutiana, l’ultimo dei presidi (come l’ultimo dei Samurai, l’ultimo dei Mohicani, l’ultimo giapponese sull’isola, l’ultimo dei miei stivali): Massimo Ciglio, deciso come gli eroi di Alamo, a non arrendersi al nemico e combattere fino all’ultimo uomo, anzi no, fino all’ultimo bambino. Già, perché la difesa delle effigi occhiutiane, risulta davvero disperata, al punto che, dopo le tante diserzioni nelle sue fila, Ciglio è stato costretto ad arruolare i bambini. E per non farli passare da tali li ha costretti ad imitare, nei volantini di propaganda contro i partigiani di Franz che altro non sono che dei banditi (per Ciglio), la calligrafia dei loro genitori. Sembrano bambini, ma scrivono cartelli di protesta come dei grandi, ed è proprio a loro che Ciglio ha affidato la prima linea, ponendoli nelle trincee di confine nel vano tentativo di respingere i continui assalti del nemico. Un inutile sacrificio al quale il fanatico Ciglio non vuole rinunciare (come il generale del film “Uomini contro”): o Occhiuto o la morte, è questo il suo grido di battaglia.

La guerra per la difesa della striscia di asfalto più famosa della città, così come l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi, è appena iniziata, e questo è solo il primo reportage dal campo di battaglia… ed è con l’auspicio che presto la pace possa prevalere su tutti i conflitti del mondo che chiudiamo questo nostra prima pagina di un diario di guerra che vorremmo non aver mai aperto. Dal fronte è tutto a voi la linea.