«Le lavorazioni eseguite non risultano conformi agli standard di qualità e prestazionali richiesti dal progetto e quindi dal capitolato speciale d’appalto». Lasciano pochi dubbi le conclusioni della perizia sui lavori di messa in sicurezza del Ponte Morandi di Catanzaro allegata agli atti dell’inchiesta Brooklyn. Su mandato del sostituto procuratore Veronica Calcagno, l’ingegnere Vincenzo Esposito ha analizzato gli interventi effettuati sul viadotto finiti al centro dell’inchiesta della Guardia di Finanza. Il lavoro del consulente incaricato dalla Procura si è concentrato prima sull’esame dei documenti sequestrati dagli inquirenti e poi sulle analisi delle opere realizzate. La documentazione di cantiere viene definita dal consulente della Procura «estremamente carente e lacunosa». Attraverso i documenti rinvenuti, a parere del consulente della Procura, non è possibile ricostruire «le attività di controllo eseguite dal direttore dei lavori e dal collaudatore tecnico – amministrativo, per le parti di propria competenza mirate ad accertare la qualità delle lavorazioni previste e la conformità delle stesse al capitolato d’appalto». Malta che si stacca con le mani, armature ossidate e diffusi fenomeni di carbonatazione. È questo il quadro dei lavori sul ponte Morandi tracciato dall’ingegnere Esposito. Qualcosa, a parere del consulente della Procura non torna. È il caso delle barre d’acciaio che dovevano essere sostituite. Da progetto se ne sarebbero dovute utilizzare ben 2.832 chili e invece ne risultano contabilizzate 328 chili. Il dato può essere spiegato dal fatto che la situazione reale delle armature del ponte era meno compromessa di quanto previsto nel progetto.
E infatti, nel verbale di concordamento dei nuovi prezzi il direttore dei lavori aveva parlato di una effettiva limitazione di carbonatazione (un processo chimico che ha un effetto negativo sul calcestruzzo) delle zone superficiali trattate e demolite. Eppure le misure di carbonatazione effettuate dal consulente della Procura hanno dato un esito opposto: “Su 30 estrapolazioni di carote testate per la carbonatazione, 26 di esse hanno manifestato strati carbonatati del calcestruzzo, di spessore anche pari a 30 mm, al di sotto dello strato di malta di ripristino intercettato”.
Esaminando il materiale estratto, l’ingegnere Esposito evidenzia la possibilità che “lo strato di calcestruzzo carbonatato sia ancora in contatto con le armature esistenti e che quindi, in ragione della presenza di fessurazioni rilevate, potrebbero attivarsi rapidamente nuovi fenomeni di degrado corticale”.
E ancora, dai carotaggi effettuati si è rilevato, nella maggioranza dei casi, “una non perfetta adesione di interfaccia tra lo stato di malta di ripristino e il supporto sottostante. Sovente lo strato di malta si è staccato con la semplice forza manuale”. Il consulente sottolinea anche che “parte non trascurabile delle zone di spigolo è risultata interessata da fenomeni di microfessurazione superficiale, caratterizzata da ampie “ragnatele”, molte delle quali addensate nella zona di base dei ritti”. Nella perizia sono presenti anche alcune immagini delle armature obsolete. Un quadro preoccupante. Toccherà ai periti nominati dal collegio difensivo controbattere alle conclusioni cui è giunto l’ingegnere incaricato dalla pubblica accusa.
Nei giorni scorsi la Procura ha chiuso le indagini confermando le accuse nei confronti di funzionari dell’Anas e imprenditori che devono rispondere a vario titolo di intestazione fittizia, trasferimento fraudolento di valori, aggravato dal metodo mafioso, autoriclaggio, associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso, corruzione in atti giudiziari aggravata dal metodo mafioso, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, frode nelle pubbliche forniture e truffa. Fonte: Gazzetta del Sud