La Calabria è tutto quello che non ti aspetti. Potrebbe essere lo slogan di una regione che da decenni non sa fare marketing turistico e continua a non saperlo fare, anzi se possibile peggiora sempre di più. Quasi come se fosse possibile raschiare fino all’infinito il fondo del barile. Nel concreto appare di più lo slogan di un territorio malsano dove il lecito si confonde con l’illecito fra improbabili folle abituate alla protesta, quando a sancire il brand – come dicono quelli bravi – è sempre quella politica con un piede ben saldo nella criminalità, che conferma e sottoscrive l’abbraccio con gli impresentabili.
E’ la narrazione ormai stanca di una realtà incancrenita per mancanza di dignità dei calabresi, che si sono consegnati alla legalità della ‘ndrangheta, ma senza ombra di smentita alcuna all’idiozia cieca del potere, quello che allinea i pianeti velenosi lasciando la scelta, anche politica, a praticanti di seconda mano… Quello che possiamo chiamare la consapevolezza del contemporaneo.
In Calabria non esistono oggi territori neutri, forme di governo anche locali che possano chiamarsi fuori dal contemporaneo mafioso, non ci sono isole felici e tutte le realtà locali soffrono, chi più chi meno, della carezza e della protezione di quel sistema massomafioso, che resta la scoperta “incompiuta” della repressione azzoppata di Nicola Gratteri. La mafia che in Calabria si declina con il termine di ‘ndrangheta, quasi a voler sancire una differenza geografica e di sistema, è il vero brand culturale e rappresentativo di una regione, dove tutto anche le piccole manifestazioni hanno un qualcosa di raccapricciante: una puzza riconoscibile di marcio stranamente assimilabile all’essenza di bergamotto nella produzione base della cosmesi. I calabresi restano un popolo strano ed alternativo, incapaci di capire la bellezza incontaminata e selvaggia che li circonda e incapaci di distinguere il profumo dall’olezzo.
Vivere in Calabria è quasi una manifestazione di fede. Una scelta il più delle volte inconsapevole che ti porta ad essere strabico rispetto alla realtà, dove si rischia di essere testimone ultimo di delitti scoperti per la casualità di aver spostato una pietra, il classico ciottolo raccolto sulla battigia, sotto il quale si nasconde l’universo mondo. Quando questo avviene sorge il dilemma: piegarsi al sistema del silenzio e della complicità? Oppure assecondare una scossa di libertà diventando testimone solitario di una battaglia dichiarata già persa, nonostante l’appello e l’invito del procuratore Nicola Gratteri a denunciare?
Il tutto avviene mentre intorno, ormai da qualche lustro, si consuma una rincorsa tossica che vede le singole amministrazioni locali, da quelle piccole a quelle più grandi, consolidarsi nel gioco del sistema dove l’alleanza fra politica e massomafia è l’unico dato statisticamente rilevante e dove il valore della legalità si assimila ai fanghi dei depuratori, normalmente sversati nei corsi d’acqua e lungo i litorali. Tutto uguale a tutti, senza distinguo di colori e senza differenza di gonfaloni.
In questa ricerca statistica ci sono poi le realtà che hanno segnato il valore migliore in crescita criminale e Catanzaro ad ogni buon conto può competere per il palmarès di migliore città consegnatasi alla massomafia ed a pieno titolo come l’espressione autentica del sistema calabrese. Qui tutto diventa spettacolare perché la storia ha consumato le alleanze ai massimi sistemi mettendo tutti insieme: le coppole, i cappucci, i paramenti sacri e la politica della truffa, senza mai dimenticare i colletti bianchi.
Sono i resoconti giornalistici a darcene la misura, quando all’interno del consiglio comunale avviene come fatto di rarità che il consociativismo, fra maggioranza ed opposizione, ha una battuta di arresto ed il ragionamento si focalizza sul vero male che governa la città di Catanzaro, dove la burocrazia interna è l’elemento a maggiore incidenza criminale e così saltano fuori fatti, misfatti e connivenze. Questo è successo nella seduta del 28 aprile 2022 quando il consigliere comunale Eugenio Riccio ha denunciato il clima di connivenza e di possibile illegalità che alimenta l’agire della macchina comunale: “Il mio riferimento è la Palermo di Falcone e Borsellino e non quella di Ciancimino. Ci ritroviamo a rapportarci ai cittadini con la macchia di Gettonopoli mentre si assiste al bon ton continuato tra i diversi dirigenti. Il cancro di questa città è la burocrazia: tra di loro non ci si tocca. Puoi denunciare tutto quello che vuoi, ma non c’è niente da fare”.
L’affondo è diretto e senza mezzi termini e investe in pieno la segretaria generale e responsabile dell’anticorruzione, Vicenzina Sica, la famosa “mistica” di Simeri Crichi portatrice delle stimmate impolverate. Si narra di una correzione strana fatta a penna su un atto deliberativo, della sparizione per errore tecnico della registrazione della seduta consiliare, tanto da invocare una nuova stagione per la burocrazia comunale con l’avvento del nuovo sindaco. In poche parole c’è il forte dubbio sulla liceità degli atti e sulla governance, tanto da fare intendere che sono pronte le valigie fuori dal portone di Palazzo de Nobili per la Vincenzina Sica che ha guidato la macchina comunale con la stessa onorabilità della banda della Uno bianca!
“Non debemus, non possumus, non volumus” recitato dalla segretaria generale Vincenzina Sica sembra ai più l’inciso della canzone neomelodica del Povero Gabbiano, mentre dall’altra parte si parla di denunce di illeciti amministrativi chiuse nei cassetti di una burocrazia ostile con la legalità e con i cittadini, insabbiati nei meandri della Prefettura di Catanzaro, tanto da dovere sempre chiedere l’intervento della Procura della Repubblica. Tutto nasce da un quadrante ben identificato della città e da settori storici della macchina comunale, per anni patrimonio e custodi di consenso elettorale dove il quieto vivere è sempre stata la regola autentica di sopravvivenza e di commistione.
Tutto avviene in poco più di un chilometro sul lungomare cittadino, dove a vicende ormai conclamate si aggiungono altre realtà, che alcuni residenti ci hanno segnalato che hanno il sapore della beffa e la conferma di una illegalità diffusa, forse anche per la residenza di alcuni dipendenti del comune di Catanzaro. Si parla di una proliferazione di recinti chiusi da cancelli, realtà abitative costruite su terreni comuni o forse anche patrimonio del Demanio marittimo, di box abusivi oggetto di compravendita, oltre che di allacci alla rete elettrica e peraltro soggetti alla raccolta dei rifiuti. E’ lo scenario che appare nel comprensorio abitativo ex Ina Casa, dove tutto diventa lecito e dove chi avrebbe dovuto controllare, al netto della ineducazione del personale della Polizia Municipale così come emerso dagli atti di Multopoli, ha preferito glissare lasciando campo libero a possibili occupazioni abusive ed alla creazione di un ecomostro da esibire come cartolina autentica del patrimonio turistico della città. Forse è anche questo un altro capitolo non esplorato del sacco della città, quello lasciato al libero arbitrio del comune cittadino, diventato visto l’andazzo protagonista legittimato del buon governo della burocrazia comunale, ormai da qualche decennio asservita alla politica truffa. Una prateria di malaffare da sfidare!