(DI LUCA DE CAROLIS – Il Fatto Quotidiano) – L’avvocato trascorre la notte più lunga ad aggiungere e cancellare nomi. Lima i ruoli con cui vorrebbe ridare un po’ di carne al suo Movimento che nelle urne di domenica si è mutato in fantasma. E tra una telefonata e una correzione decide che è tempo di annunciare il voto sul nodo dei nodi, il vincolo dei due mandati: l’ultimo Rubicone da varcare. Così nel martedì dopo la disfatta fatta di percentuali da 2 per cento e qualcosa, Giuseppe Conte prova a rilanciare.
Giocandosi le carte che ha in una conferenza stampa, per presentare “la fase 2 del Movimento” come la chiama con necessario ottimismo. Partendo con i nomi dei 20 referenti regionali. La struttura tanto promessa, in cui compaiono solo uno o due dimaiani (uno in Piemonte). Per il resto nulla, neppure in Campania. A conferma che la distanza con il ministro degli Esteri rimane un oceano. Ma visto che c’è, l’avvocato rilancia ancora più forte, annunciando entro fine giugno il voto degli iscritti sul web sui due mandati. “Ma io non mi esprimerò per non influenzare la votazione, è una regola identitaria”, precisa. E subito in molti sospettano che speri, in cuor suo, in un no dalla base. Anche se Conte nei ragionamenti privati spiega da giorni di voler concedere una terza corsa a una ristretta rosa di big, tramite deroghe. Nell’attesa teorizza: “Far saltare il vincolo del tutto sarebbe troppo, non credo sia nello spirito dei 5Stelle aprire a un numero di mandati indefiniti perché la politica non può diventare un mestiere”. Annunci e scelte per provare a voltare pagina. Ma le macerie delle Amministrative sono lì, fumanti. Così diversi grillini sotto voce invocano il taglio di teste, puntando il dito contro i vicepresidenti. E riaffiorano certe voci soffocate da tempo, contro i dem. “È ora di prendere coscienza che questa alleanza con il Pd conviene solo al Pd”, twitta il M5S Roma, sul suo profilo ufficiale. E il collegamento immediato è con l’ex sindaca Virginia Raggi, distante dall’ex premier, antica fautrice dell’autarchia a 5Stelle che fu.
È grosso modo la linea di Alessandro Di Battista, cercatissimo dai suoi ex colleghi in queste ore. A sostenere quella voglia di passato, i numeri. Perché per tutto il giorno nelle chat rimbalza lo schema definitivo con i voti nei Comuni. E in diversi notano: “L’altra volta, da soli, avevamo preso di più quasi ovunque”. Quanto potrà incidere sulla rotta di Conte? A occhio poco o nulla. L’avvocato non vuole assolutamente cambiare direzione, il suo orizzonte resta “il fronte progressista”. Anche se certi contiani aspettano l’ennesima ordinanza da Napoli quasi come una liberazione: “Se ci ‘congelassero’ ancora, forse Giuseppe si deciderebbe a fare un suo partito”. Però Conte vuole provarci, ancora, con il M5S. “Il nostro marchio non è usurato, è garanzia di qualità, e io non ho velleità di sostituire al brand del Movimento il mio cognome” assicura.
Certo, concede, “se non riusciamo a comunicarlo, probabilmente non siamo riusciti a lavorare a contatto coi cittadini. Se è così abbiamo sbagliato e dobbiamo rimboccarci le maniche”. E il governo Draghi? L’ex premier insiste: “Da Nord a Sud, la richiesta di uscire dal governo è continua, il nostro elettorato soffre”. Ma la soluzione non è uscire, assicura: “Forse non sappiamo spiegare perché siamo nell’esecutivo, e cioè che non ci sentiamo di voltare le spalle ai cittadini con una spirale recessiva alle porte. Però non rimaniamo dentro stando zitti e buoni”. Conte saluta. Nel M5S, le voci di dentro segnano umore nero: “Ha nominato come referenti molti di quelli che sui territori hanno gestito questa campagna elettorale. E i due mandati li vuole tenere”. Sarà un’altra estate lunga, per il M5S.