Cosenza, la questura declassata a commissariato di quartiere

Checchè ne dica il competente e a scadenza questore dottore Spina, la questura di Cosenza di fatto è stata declassata da tempo a commissariato di quartiere. Eppure è stato lo stesso dottor Gratteri a definire, in più occasioni, Cosenza la città dove risiede la massomafia di “serie A (citazione testuale)”, e questo dovrebbe bastare per immaginare una questura super attiva nel lavoro investigativo contro i colletti bianchi che delinquono, guidata da un “ufficio stabile” del questore. E invece non esiste questura in Italia dove i questori vanno e vengono alla velocità della luce come a Cosenza.

Bisogna però dire che il questore non è un ufficiale di Polizia Giudiziaria. Nell’organizzazione della Polizia di Stato, il questore svolge funzioni di carattere amministrativo, e mantiene rapporti di alto livello con la politica. È anche responsabile e coordinatore di tutte le forze di polizia impiegate in servizi per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica, nonché in servizi di prevenzione e difesa da atti eversivi. Se è vero che la “continuità” di una inchiesta è data dalla stabilità operativa del dirigente che la conduce, è anche vero che il questore può accedere a notizie coperte da segreto istruttorio per poter svolgere al meglio le proprie funzioni, e per questo non estraneo alle dinamiche investigative delle varie divisioni che compongono la questura.

Il questore, dunque, non è solo un passacarte al servizio della politica, ma anche una autorità di pubblica sicurezza che può, se vuole, agire  “d’iniziativa”. Che significa che se c’è qualcosa che non va nell’operato dei dirigenti, ha il diritto/dovere di chiedere conto, e segnalare, qualora la situazione lo richiedesse, eventuali illeciti all’autorità giudiziaria. Un compito non certo secondario: controllare il buon andamento di delicate inchieste, prevenire fughe di notizie, e tutelare il lavoro e la sicurezza degli investigatori. Un questore “stabile” garantisce tutto questo, ma se non ha neanche il tempo di capire quello che succede nei suoi uffici che è già tempo di andare via, come fa a svolgere al meglio il proprio dovere? È chiaro, e qui tutti possono capire la volontà di qualcuno a mantenere la questura come un commissariato, che il buon andamento del lavoro investigativo dipende dall’onestà e dal senso del dovere dei dirigenti. Senza un controllo diretto e costante, un dirigente disonesto può fare quello che vuole, anche omettere informazioni all’autorità giudiziaria, o fornirle come più gli aggrada. Tanto non deve certo rendere conto al questore del suo operato che tra qualche mese non c’è più, e al suo posto arriverà un altro, sempre con la valigia in mano pronto a ripartire, a cui hanno promesso una promozione che poi, puntualmente, non arriva (Petrocca docet).

Per chi ha bisogno degli uomini giusti al posto giusto per coprire magagne, il dirigente di polizia, così come il procuratore capo, sono figure fondamentali per garantire impunità agli intrallazzatori di alto livello, verso i quali si applica il “principio” del radicamento sul territorio. Più risiedono in città e più è facile creare il “conflitto d’interessi” su cui si base il do ut des: tu, dirigente di polizia, pm, procuratore capo, ti fai i fatti tuoi, e noi ti facciamo fare una vita da nababbo a Cosenza. Tanto nessuno controlla, specie se chi dovrebbe controllare fa parte della “paranza”.

Gli esempi di procuratori capo, pm e dirigenti di polizia in servizio ultraventennale (sempre con le stesse funzioni nel caso dei dirigenti di polizia), non mancano a Cosenza: se uno vive e lavora da 30 anni sempre nella stessa città è normale che si sia fatto degli amici e, qualche amico degli amici, a cui serve un favore, e visto il ruolo pubblico occupato, prima o poi si incontra. E poi i marpioni sanno bene che il pm si relaziona solo con i dirigenti che sono ufficiali di polizia giudiziaria e, per la riuscita dell’intrallazzo, il loro legame deve essere solido e consolidato nel tempo. Il dirigente deve riferire al pm, e non necessariamente al questore, se non c’è una netta e precisa richiesta da parte dello stesso. Perciò il questore deve essere scadenza, meno chiede e meglio è, del resto i segreti inconfessabili esistenti tra dirigenti e pm non possono essere spifferati al primo questore che capita. Ecco perché la questura deve restare un commissariato di quartiere, il questore deve sapere che questa sede, se si comporta bene, è solo di passaggio.

La filiera delle coperture è da tempo ben consolidata a Cosenza e non ammette intrusioni. Per questo la “rotazione” di chi occupa posti delicati diventa necessaria dopo un certo numero di anni, massimo 8 anni, proprio per non creare conflitti di interesse. Ma non a Cosenza. Ed è per questo che il questore diventa una figura che se stabilizzata potrebbe squilibrare l’andamento degli intrallazzi, alla fiducia, si sa, serve tempo… e senza tempo a nulla serve l’onestà, come nel caso di Spina e di altri che l’hanno preceduto come la Petrocca, perchè non si può apprendere e comprendere ciò che avviene negli uffici. E poi di questi tempi non fidarsi è meglio. Se il questore impiega  tutto il suo tempo ad organizzare posti di blocco per sequestrare 30 grammi di fumo, perché questo è il suo mandato, tempo per fare altro non ne ha. E non è certo colpa del questore che altro non può fare se non adeguarsi. Nessuno a pochi mesi dalla pensione o dal trasferimento, fa “scoppiare” un caso, se un caso c’è. Si limita a fare il proprio dovere con onestà, e tanto basta.

Questo è il criterio con il quale “qualcuno”, da un po’ di tempo a questa parte, sceglie il questore, perché sa che non sempre corrompere paga, non tutti sono disponibili. e la migliore soluzione, per tenere tutti i segreti nel “solo giro degli amici fidati”, è mettere questori a tempo. Non bisogna dargli mai il tempo di interessarsi del lavoro dei dirigenti. E la promessa di promozione è la moneta migliore. Tutto questo lo ha ben capito Gratteri, che ha provato a stabilizzare un gruppo investigativo guidato da un questore a lunga scadenza, ma l’esperimento non è riuscito. Ma questa è un’altra storia.