di Luca Monticelli
Fonte: La Stampa
Un mese fa il Consiglio dei ministri aveva approvato il decreto per realizzare il ponte sullo stretto di Messina. «Una giornata storica», disse il ministro delle Infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini, che quantificò il costo del ponte in 10 miliardi, comprese tutte le opere ferroviarie e stradali di accesso su entrambe le sponde. Ebbene, il Def varato martedì scorso getta un’ombra sulla fattibilità del collegamento tra Calabria e Sicilia. Come ha scritto ieri questo giornale, il Documento di economia e finanza chiarisce che l’opera comporterà una spesa di 13 miliardi e mezzo e al momento «non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, dovranno essere individuate in legge di bilancio». Costo che però è destinato a lievitare, prosegue il Def, perché se si sommano le strutture complementari e di ottimizzazione delle connessioni ferroviarie si arriva «complessivamente a 14,6 miliardi di euro».
Proprio sulla quantificazione delle coperture, Salvini aveva un’idea ben diversa, visto che prima di presentare il decreto a Palazzo Chigi aveva stimato nel salotto di Bruno Vespa una spesa di circa 8 miliardi, «un anno di reddito di cittadinanza». Adesso il conto è quasi il doppio. Fonti del ministero provano a spegnere le polemiche: «È ovvio che manchi la copertura – osservano – sarà reperita con la legge di bilancio, come sempre avviene per tutte le grandi opere inserite nella programmazione infrastrutturale del Def».
Le opposizioni vanno all’attacco. «Siamo di fronte ad una vera e propria truffa politica e mediatica», accusa Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi e Sinistra che chiede di ritirare il provvedimento sul ponte. «Salvini e la Lega stanno facendo uno sgradevole gioco delle tre carte a danno dei cittadini. La società Stretto di Messina Spa è solo un carrozzone destinato a moltiplicare le poltrone e a divorare i soldi dei contribuenti», rincara la dose il Movimento 5 stelle.
Il ponte non è l’unico interrogativo sollevato dal Def che agita la Lega, nonostante al ministero dell’Economia ci sia Giancarlo Giorgetti. La riforma delle pensioni, l’altra grande battaglia identitaria portata avanti dal Carroccio, non è presa in considerazione. La previdenza è citata solo per ricordare che la spesa pensionistica è aumentata di 50 miliardi negli ultimi cinque anni e che nel 2024 l’incidenza sul Pil sarà del 16,2%. Quota 41, la proposta della Lega che vorrebbe il pensionamento una volta raggiunti i 41 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica, è destinata ad essere rinviata, sempre che sia veramente ritenuta dalla premier Giorgia Meloni un obiettivo di legislatura. Anche su questo aspetto Salvini getta acqua sul fuoco: «Quota 41 per tutti è nel programma e ci rimane, stesso discorso per la flat tax». Secondo Claudio Durigon, il sottosegretario leghista al ministero del Lavoro, la riforma della previdenza è «un tema che verrà esaminato nella finanziaria, con la sostenibilità che verrà indicata dal Mef. Continueremo il percorso già iniziato l’anno scorso con Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) e vedremo di migliorare quel modello».
Nel mirino del centrosinistra finisce anche la sanità. Nel 2024 il governo taglierà la spesa di quasi tre miliardi e mezzo di euro: passerà dai 136 miliardi di quest’anno ai 132,7 del prossimo, per poi risalire a 135 miliardi nel 2025 e a 138,4 nel 2026. La spesa sanitaria cala pure in rapporto al Pil, passando dal 6,7% del 2023 al 6,3% del 2024 e al 6,2% del biennio 2025-26. Il ministro della Salute Orazio Schillaci auspica «risorse aggiuntive» e intanto le opposizioni criticano la maggioranza e il governo: «Colpita la sanità pubblica, l’esecutivo di Giorgia Meloni mette a rischio i servizi essenziali», sottolinea il capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia. Per il Movimento 5 stelle «il Def è un trionfo di tagli e austerity, il centrodestra non ha a cuore la salute degli italiani».