Catanzaro oggi è al centro dell’attenzione nelle cronache calabresi. L’attesa tre giorni della Notte Piccante, che torna dopo qualche tempo, catalizza l’agenda degli eventi nella nostra terra. E per non farci mancare niente, stamattina anche il procuratore con le valigie in mano ha voluto lasciare un “ricordino” – guarda caso proprio alla vigilia della Notte Piccante – con una scadente operazione di… Serie C tanto per fare il verso alla trita e ritrita metafora calcistica di Gratteri, che considera di “Serie A” un po’ tutti. Vabbè, poca roba ormai…
Ma torniamo alla Notte Piccante. Qualche giorno fa ha preso posizione il professore Franco Cimino, docente (da qualche anno in pensione) di Filosofia e Scienze Umane al Liceo Fermi di Catanzaro Lido, già segretario provinciale della Dc (Democrazia Cristiana) a Catanzaro, più volte consigliere comunale e candidato sindaco, una sorta di memoria storica della città dei Tre Colli.
Cimino partiva da alcune considerazioni relative alla chiusura di Bertucci a Catanzaro per planare sul discorso politico e quindi anche sulla Notte Piccante:
“… Bertucci chiude, e ne ha diritto, diciamo – sostiene Franco Cimino -. Bertucci chiude con la disinvoltura che non avrebbe in quel di Lamezia, perché non è di Catanzaro e a Catanzaro non ci abita. Non vive. E io, ripetendomi, dico che chi conosce un luogo e lo vive, poi lo ama e lo difende. Ma è un discorso che evito di fare oggi, in cui prevale la “logica” che non ha anima. Delle cose e delle persone. L’unico discorso che andrebbe fatto è quello politico. E andrebbe fatto in quella visione della Politica che purtroppo manca. Almeno nella considerazione, la mia, che la Politica possa fare quasi tutto. E mai si dovrebbe fermare dinnanzi alle scuse del cavolo che sempre i suoi operatori trovano. Del tipo “non ci sono risorse; è colpa di chi c’era prima; a me non hanno detto niente; si, però, la squadra di pallone; faremo domani; ho chiesto soldi ma il Governo, l’Europa…; e la guerra, non vedete che c’è la guerra…”. Oggi, la risposta dinnanzi alla chiusura di Bertucci è (la scrivo testualmente): ”il privato è libero di decidere. E noi non possiamo impedirglielo, ché ci porterebbe pure in tribunale”. Vero, sul piano tecnicamente giuridico e tecnico, ma la Politica ha la forza di concepire utilmente l’iniziativa privata quale fatto pubblico, persuadendo tutti che Democrazia è il luogo in cui non solo la libertà è pienamente garantita ed esaltata. Ma quello in cui ogni atto pubblico è privato, quando si rivolge al bene dei singoli, e ogni atto privato è pubblico quando attiene al bene comune. Ma anche qui non vado a ragionare oltre, lo spazio del dialogo con i lettori non lo consente.
Pertanto, le istituzioni, quelle più prossime al cittadino, che ancora una volta arrivano in ritardo sul problema, si attivino oggi per favorire, non avendo potuto garantire la permanenza di questa attività storica, la difesa del posto di lavoro di quanti tra i dipendenti Bertucci non possono andare in quiescenza, e la più rapida apertura di un’attività (io ci avrei visto un super negozio di grandi marche o delle stesse l’outlet) che non modifichi il volto commerciale del Capoluogo.
E, soprattutto, non sia in competizione insostenibile con i cento negozi che dovranno essere difesi dall’assalto della crisi e delle potenti realtà commerciali. Questo deve fare la Politica e l’Amministrazione Comunale. Altrimenti, ci troveremo davanti alle contraddizioni delle parole e al loro significato, qui, ambiguo. Due, in particolare. Questa, nel mentre ci attardiamo ancora a decidere sulla chiusura del Corso i negozi sul Corso chiuderanno. Una contraddizione simile a quella della propagandata “Notte Piccante”, che nuovamente viene presentata con quell’immagine femminile distorcente. Davvero brutta, per non usare un termine molto esteso. La Notte che celebra la grandezza del nostro piatto tipico e storico mentre le originali putiche d’o morzedru, continuano, ormai da anni, a chiudere…”.