Vibo capitale della massomafia. La pistola sotto il camice medico: così Cesare Pasqua pretendeva “rispetto”

Il medico con la pistola sotto il camice protetto dagli «amici potenti» di Vibo Valentia. È questa l’immagine di Cesare Pasqua restituita dalla chiusura indagini delle indagini Olimpo, Maestrale-Carthago e Imperium. L’ex dirigente del Dipartimento di Prevenzione dell’Asp vibonese era finito ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa, abuso d’ufficio con l’aggravante mafiosa e scambio elettorale politico-mafioso per i voti al figlio Vincenzo, candidato nella lista “Jole Santelli Presidente” a sostegno di Jole Santelli alla carica di presidente della Regione Calabria, in occasione delle elezioni regionali del 26 gennaio 2020. Ora la Dda gli contesta anche il reato di minacce con l’aggravante del metodo mafioso per aver agito per favorire gli interessi del clan Mancuso.

Nel nuovo capo di imputazione gli inquirenti accusano Pasqua del clima di terrore che avrebbe instaurato nei confronti del manager della sanità pubblica Francesco Talarico (non indagato) e del medico Francesco Tiburzio Massara (anche lui coinvolto nell’inchiesta). In particolare nel 2014 Cesare Pasqua avrebbe detto a Massara: «Parlerò con i miei amici potenti di Vibo e qualche sera di queste ti faccio sparire per sempre a te e Talarico». Nel luglio del 2020 invece sempre Pasqua avrebbe mostrato a Massara una pistola che portava sotto la giacca e poi avrebbe aggiunto: «A te e Talarico vi distruggo».

Pasqua in questo caso avrebbe contestato a Talarico e Massara di aver fornito elementi circa le presunte pressioni del boss Luigi Mancuso proprio su Pasqua per far dissequestrare oltre una tonnellata di insaccati sequestrati dai Nas a un noto supermercato di Vibo. Proprio su questa vicenda, la Procura ha anche chiamato a testimoniare lo stesso Talarico.

Nelle carte dell’inchiesta, i pm dell’antimafia di Catanzaro richiamano le dichiarazioni rese agli inquirenti proprio da quest’ultimo e da Massara rilevando che “appaiono perfettamente in linea con la figura di Cesare Pasqua come emersa dai dati fattuali e dalle dichiarazioni dei collaboratori”.

Agli atti c’è una conversazione intercorsa tra due interlocutori ben addestrati nelle dinamiche interne all’Asp di Vibo che gli inquirenti definiscono densa di elementi investigativi. Ne emergerebbe innanzitutto il legame di Pasqua con il clan Mancuso e con il boss Luigi. “Fa tutto, tutto… tutti… tutto quello che deve essere fatto sulla prevenzione, sulla… il Dipartimento di Prevenzione tutti a spada tratta a favore loro”, dice uno dei due riferendosi alla presunta vicinanza al clan di Limbadi e di Nicotera.

Vi sarebbe poi la conferma dell’intervento per far restituire i prodotti alimentari sequestrati. E il dialogo restituirebbe infine anche il metodo di gestione interna dell’Asp da parte di Pasqua che ha costituito un gruppo di “fedelissimi” mediante i quali mantiene il controllo delle attività dei diversi dipartimenti.

Nel capo di imputazione principale, quello relativo al concorso esterno in associazione mafiosa, la Dda ipotizza che Pasqua sia stato il “Pubblico Ufficiale di riferimento dell’organizzazione criminale nell’Asp di Vibo mettendosi a disposizione delle locali di Limbadi e San Gregorio d’Ippona, cioè dei clan Mancuso e Fiaré. Fonte: Gazzetta del Sud