Il porto di Gioia Tauro rischia la chiusura a causa delle politiche europee tese a ridurre l’impatto altamente inquinante delle grandi navi e la politica calabrese, piuttosto che fare mea culpa per l’incapacità di definire un futuro sostenibile per lo scalo gioiese, si scaglia contro la misura dell’Unione Europea…
Se Gioia Tauro rischia la chiusura è perché si è consentito che facesse solo transhipment, quindi spostare i container da nave a nave, e questo solo per favorire gli interessi degli armatori come MSC, monopolista del porto e leader mondiale del settore.
Il porto, che doveva rappresentare il volano di sviluppo della Calabria, e del Meridione tutto,’ è stato sempre un corpo estraneo, buono a dar lavoro a centinaia e centinaia di famiglie ma lontano dal rappresentare realmente una possibilità di sviluppo sostenibile per il territorio.
Un prodotto spedito via nave e destinato a Cosenza, arriva a gioia tauro. il container che lo trasporta viene trasbordato da una nave all’altra, ripartendo così per Livorno o Genova, per fare un esempio, dove viene lavorato poi dalle imprese che si occupano di logistica e rispedito quindi a Cosenza.
Una trafila che si sarebbe accorciata, sia in termini di tempo, sia economici, sia di impatto ambientale, lavorando parte dei container direttamente a Gioia, ma mai si è lavorato per sviluppare la logistica a Gioia Tauro, mai un container è stato aperto e lavorato a Gioia…
Certo, puntare a sviluppare la logistica, così florida al Nord, in Calabria sarebbe impossibile per incapacità della classe politica nostrana di difendere gli interessi territoriali. Così si preferisce parlare di realizzare il rigassificatore e una anacronistica quanto inutile piastra del freddo, senza dire però quanto questo impatterebbe nelle attività portuali.
D’altronde neanche la tanto decantata Zes ha avuto grandi risultati, tanto che il governo l’ha ricondotta alla nuova Zes unica: questo è sintomatico del fatto che non bastano le agevolazioni fiscali quando poi le spese “ambientali” (non dimentichiamoci mai della ‘ndrangheta) e quelle dovute alla carenza delle infrastrutture e quindi all’aumento dei costi per far arrivare le merci e spedire i prodotti finiti, rendono comunque poco appetibile investire qui. Nonostante le chiacchiere di Bonomi e della Confindustria…
Poi vediamo il retroporto, quello che avrebbe dovuto rappresentare l’area di sviluppo industriale, il cui mancato sviluppo è ben rappresentato dall’illuminazione perennemente spenta la notte, che fa notizia solo quando viene investito qualche bracciante straniero “ospite” dell’adiacente baraccopoli o purtroppo incidenti mortali che hanno coinvolto anche cittadini del posto.
E’ possibile che siano vent’anni che enti pubblici come il Corap e l’autorità di sistema portuale portano avanti uno scontro istituzionale per la gestione di una bella fetta di retroporto, lasciando così tutto impantanato e gli stessi che hanno consentito tutto questo ora ci vengono a dire che il porto rischia di chiudere per colpa dell’unione europea e delle misure contro l’inquinamento?







