(di Giovanna Casadio – repubblica.it) – ROMA – Nei cinque articoli della legge costituzionale per l’elezione diretta del premier, la riforma elettorale ovviamente non compare. Ma nella discussione di oggi a Palazzo Chigi, in cui la premier Giorgia Meloni farà il punto con la ministra Elisabetta Casellati, la titolare del dossier, e con Fazzolari, Mantovano, Ciriani e i vice premier Matteo Salvini e Antonio Tajani, di indicazione sulla legge elettorale si parlerà, eccome.
Non un testo già fatto e finito, ma, come fanno sapere dal ministero delle Riforme, “una esortazione, un invito”, piuttosto un annuncio circostanziato. E qui viene il bello. Il sistema di voto verso cui la maggioranza di centrodestra è orientata è un maggioritario con un premio, forse al 55%. Ma il rischio è di finire nelle secche del “simil Italicum”, quella legge elettorale che la Consulta bocciò proprio a causa della “sproporzione” del premio che si portava dietro. Se quindi l’intenzione è quella di rendere più stabile ancora la forma di governo del premierato grazie a una legge elettorale adeguata, la maggioranza deve sapere che può infilarsi in un vicolo cieco.
L’opposizione non starà a guardare. Non solo per Elly Schlein la riforma che prevede una sorta di “sindaco d’Italia” (come piace dire a Matteo Renzi), è “pericolosa”, ma è sulla legge elettorale, dove pure il dialogo parlamentare è inevitabile, che rischia di non aprirsi partita. Il Pd fa pressing per cambiare la legge elettorale. Perché se si ha in mente la modifica della forma di governo, ragionano al Nazareno, è evidente che si metterà mano al sistema di voto.
Per la segretaria dem tuttavia la necessità di una nuova legge elettorale è un capitolo a sé stante. Lo ha ribadito, sabato scorso, all’assemblea di Azione, ricordando che la disaffezione degli elettori è tale, l’astensionismo l’unico partito in crescita costante, che serve ricucire un rapporto tra elettori ed eletti, e perciò occorre “una legge elettorale che restituisca il potere di scelta dei rappresentanti agli elettori. Via insomma le liste bloccate. Questa discussione va fatta subito, senza aspettare di arrivare in fondo”. Il responsabile dem riforme, Alessandro Alfieri rincara: “L’elezione diretta del presidente del Consiglio non ci vedrà mai favorevoli. Comunque la nuova legge elettorale dovrebbe essere dibattuta contestualmente”. E’ quindi un combinato disposto che porta il Pd a insistere sulla nuova legge elettorale senza porre tempo di mezzo.
Roberto Calderoli, ora ministro dell’Autonomia, autore della legge elettorale poi da lui stesso definita “Porcellum” e che contribuì anche alla stesura dell’Italicum, è stato nella passata legislatura protagonista della trattativa con Dario Parrini, ex presidente dem della commissione Affari costituzionali del Senato, proprio per gettare le basi di una nuova legge elettorale. Niente di fatto. E’ un esponente di spicco della stessa maggioranza, Nazario Pagano, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, forzista, a pensare di rendere concreta e dare gambe alla nuova legge elettorale.
“Una volta avuto l’accordo della maggioranza”, dice, è pronto “contemporaneamente” a proporre e discutere del sistema di voto. Il premierato infatti, una volta varato dal consiglio dei ministri, dovrebbe approdare alla Camera, poiché al Senato c’è già in ballo l’autonomia differenziata di Calderoli. Pagano spiega di essere “personalmente” affezionato al Mattarellum, ovvero a collegi uninominali che riportino “l’eletto vicino all’elettore”. Sulla legge elettorale è più che mai convinto che vada cambiata e che già adesso il Rosatellum non funzioni, in particolare dopo il taglio dei parlamentari.
E a quale sistema pensa il Pd? Non c’è ancora la decisione del partito, che ne è ha più volte discusso, dibattendo tra la vocazione maggioritaria e l’importanza della giusta rappresentanza proporzionale. Andrea Giorgis, capogruppo dem in Affari costituzionali al Senato, ricorda il “modello tedesco”, ovvero un proporzionale con lo sbarramento al 5%. Però non c’è una proposta depositata in Parlamento. Afferma Dario Parrini: “Poiché questa destra fa una riforma costituzionale con l’elezione diretta del premier, che è una “prima” mondiale, con cui si attacca Quirinale e Parlamento in una volta sola, quindi è pericolosissima, è bene sapere come si elegge il Parlamento. Anzi è fondamentale. Se restasse un Parlamento di nominati il pericolo da grande che è, diventerebbe enorme”. Parrini avverte anche dell’importanza del ballottaggio, non però di una orma “taroccata” di ballottaggio.