Quando si ha un problema e per necessità si è costretti, non avendo altre alternative, a dover avere a che fare con chi tutti sanno che più che risolverli i problemi li aggrava, a Cosenza si usa dire: “amaru chini ci ‘ngappa”. Che vuol dire (per i non cosentini): speriamo che nella vita non ti capiti mai di aver a che fare con quel dottore, con quel mafioso, con quel politico, con quella pubblica amministrazione, con quell’Ente, con quel magistrato, con quell’avvocato, e chi più ne ha più ne metta, perché il rischio – vista la loro incapacità professionale e la propensione alla prevaricazione e alla corruzione -, che la tua già precaria situazione precipiti del tutto, è altissimo.
Spesso chi pronuncia l’adagio “amaru chini ci ‘ngappa”, è perché è già stato vittima di qualche disfunzione, c’è già ‘ngappatu nel tritacarne, e perciò va inteso come auspicio di buona fortuna verso il prossimo: che a nessuno possa capitare ciò che di “brutto” è capitato a me, ma se ci ‘ngappi sappi che non ne uscirai bene, e per questo, conoscendo il triste finale, provo pena per te che non puoi fare altrimenti. Anche se quel “triste finale” fa un po’ paura, bisogna dire che pronunciare l’adagio, a differenza di come qualcuno pensa, non porta picciu a nessuno. I cosentini lo usano per esorcizzare la paura di essere quel “chini ci ‘ngappa”. Perciò se ti capita di ricevere un amaru chini ci ‘ngappa, non serve fare nessun gesto apotropaico. Va preso come un augurio, anche se non sembra. Anche quando qualcuno aggiunge all’adagio “amaru chini ci ‘ngappa”, una seconda parte che recita così: “sulu chini un ci ‘ngappa un ci crida”, non è per gettare picciu agli altri che la pronuncia. Piuttosto va letta come consapevolezza diffusa sullo sfacelo dei servizi pubblici per i cittadini.
Infatti l’adagio trova la sua migliore collocazione quando si parla ad esempio di ospedale, di tribunale, di tasse, di politici e di colletti bianchi di tutte le razze. Amaru chini ci ‘ngappa aru spitali. Amaru chini ci ‘ngappa aru tribunali. Frasi che si pronunciano perché consapevoli del degrado morale, etico e professionale di quei luoghi. E non per augurare picciu a qualcuno. Ed è per questo che diciamo senza voler portare jella a nessuno che Cosenza è la città dove prima o poi tocca a tutti, esclusi coloro i quali hanno santi in paradiso, essere proprio chiru ca ci ‘ngappa. Gli altri, prima o poi, siamo noi, cantava Tozzi. Perché i cosentini senza santi in paradiso, e che non hanno nessuna alternativa al servizio pubblico, sanno bene che hanno poche possibilità di guarire all’ospedale pubblico, nella migliore delle ipotesi, o di risolvere il problema con la pubblica amministrazione, oppure con il tribunale. Siamo rassegnati al sistema. Speriamo che mi vada bene, speriamo in un miracolo, è così che affrontiamo il problema.
Tutti accettiamo il rischio di un possibile “triste finale” affidandoci ad istituzioni corrotte e ad Enti senza professionalità, piuttosto che ribellarci al sistema e pretendere i giusti e sacrosanti diritti. Preferiamo affidarci, oltre che a San Francesco e alla Madonna del Pilerio, all’esorcizzante “amaru chini ci ‘ngappa” con la speranza di allontanare da noi questa incresciosa eventualità. Ma l’effetto scongiurante non sempre funziona, e il triste finale può presentarsi alla nostra porta. Senza voler portare picciu a nessuno. Sarebbe meglio scongiurare questa triste eventualità costringendo con la voce di piazza chi di dovere a garantire diritti e cure di qualità per tutti, piuttosto che affidare la nostra salute o la nostra libertà ad una semplice grattata di cog… anche perché il rischio che a furia di grattarci piuttosto che ribellarci, l’adagio si trasformi definitivamente da “amaru chini ci ‘gappa” a “amaru chini si gratta” è più che concreto se non ci diamo una svegliata, e non l’ennesima grattata.