di Lorenzo Nicolini
Fonte: Roma Today
Rocca di Papa, comune di 17mila abitanti alle porte di Roma, è diventato fortino della droga di una banda di calabro-albanesi. Lo “zio” Pellumb Pacrami, il nipote Briken Ndreka che ne ha voluto e ne vuole ricalcare le orme, Gianfranco Agus detto “il vecchio”, una donna che si faceva chiamare “Rosy Abate”, il fratello del “Biondo”, uomo della cosca Bellocco, e altre sette persone erano capaci di intrattenere affari con i narcotrafficanti sudamericani e con gli esponenti della ‘Ndrangheta.
Uomini delle cosche, quest’ultimi, che avevano già fatto affari ad Anzio e Nettuno, come raccontato nell’ordinanza Tritone che il 17-2-2022 portò all’arresto di 65 persone, di cui 39 in carcere e 26 ai domiciliari. Un triangolo, quindi, tra la Calabria, il litorale a sud di Roma e i Castelli Romani.
E proprio grazie ai soldi ricavati dalla vendita al dettaglio della droga fornita dalla ‘Ndrangheta e dai altri contatti in Sud America, il gruppo è diventato grande. Un sistema che aveva permesso alla banda di “zio” Pellumb di arricchirsi, con il nipote Briken Ndreka che ne tesseva le lodi al telefono.
Il gruppo criminale
Dodici le persone coinvolte nell’indagine Pilot, come detto. A capo dell’organizzazione, appunto, c’era Pellumb Pacrami, un criminale di lungo corso ormai radicato – insieme al nipote – a Rocca di Papa. Proprio Briken Ndreka, intercettato, spiega come l’importazione della droga made in Albania sia sicura e garantita: “Il ‘vecchio’ Agus lavora da trent’anni e non hanno fatto scaricare più di 3-4 panetti (da un chilo di cocaina) perché non si fidavano.
Zio Pellumb invece 20-30 panetti, lui aveva una base sicura”. Così come sottolinea la forze del gruppo di albanesi di Elbasan, capaci di importare 300 chili dalla Colombia: “Sono quelli molto forti”. Cocaina poi venduta al dettaglio a Roma, pronta per essere rivenduta nelle diverse piazze di spaccio.
I soldi per le feste, i ristoranti e il matrimonio falso
Un gruppo ben strutturato che sapeva godersi la vita. Briken Ndreka, per non incappare in un decreto di espulsione, fare acquisti di lusso e spendere i soldi in Italia, aveva trovato un modo per rimediare il permesso di soggiorno grazie a un matrimonio falso: “Diecimila euro mi è costato tutto – dice in una conversazione -. Cinquemila li ho dati a lei, cinquemila per il matrimonio e i documenti. Un anno ci è voluto. Ma ora divorzio”.
I soldi delle attività di spaccio, dunque, venivano reinvestiti non solo nell’acquisto di ulteriori partite di cocaina e nel sostegno economico ai sodali che venivano arrestati, ma anche nell’acquisto di locali, nell’organizzazione di feste e in auto di lusso, anche se non tutti avevano la patente.
È sempre Ndreka che racconta di aver perso 25mila euro nell’investimento di un locale del centro di Roma. E poi le feste: “Ho sbagliato troppo, zio ce lo diceva sempre. – raccontava a un parente in Albania durante una videochiamata intercettata – Facevamo feste da 10mila euro e non mandavamo soldi lì da voi, al massimo mille euro, non di più. Spendevo troppo, però sono giovane”.
Il gruppo sapeva comunque quello che faceva, come confermato dallo stesso Briken Ndreka: “Zio Pellumb sta messo bene, ha due case. Lo dicono sempre ai parenti, questo lavoro è diverso dal vostro. Oggi ci sei, domani ti portano dentro. Se non ci divertiamo ora finché siamo fuori, quando dobbiamo farlo? Lui ha fatto 10 anni di carcere, è normale che adesso si gode la vita”.
L’indagine
I carabinieri sono arrivati al loro sodalizio sviscerando le intercettazioni, i legami e i riscontri investigativi emersi nell’ordinanza. In quell’indagine emergeva un traffico di quintali di cocaina dal Sud America, collegate alle ‘ndrine tra Anzio e Nettuno.
Quel sodalizio da Reggio Calabria al litorale romano, aveva lavorato per anni per infiltrarsi nel tessuto sociale, economico e politico. A capo dell’organizzazione Giacomo Madaffari, l’uomo da 5 milioni di euro, che poteva vantare supporti importanti da esponenti di storiche famiglie di ‘Ndrangheta originarie di Guardavalle, ossia i Gallace, i Pertinace, i Bellocco e i Tedesco.
Il pilota e i legami
La droga arrivava dal Sud America e dalla Calabria con i narcos calabro-albanesi che studiavano rotte da coprire con un aereo da turismo condotto da un pilota di cui disponevano.
Ascoltando una conversazione del luglio 2019 tra Vincenzo Italiano, ritenuto dagli inquirenti un collaboratore di Bruno Gallace, e Federico Usai, entrambi indagati nell’operazione Tritone, gli investigatori scoprono il contatto con un altro calabrese, detto “Il biondo”, un giovane legato alla cosca dei Bellocco, spesso a Frascati e ospite a Casal Palocco del fratello per cui ieri è stato disposto l’obbligo di firma lo scorso 8 novembre.
“Guarda io c’ho un pilota dell’aeronautica che è stato dove c’è la guerra. No a Gaza, in Venezuela. C’ha l’hangar suo”, diceva Italiano. Un pilota che, appunto, ha ispirato il nome dell’indagine Pilot.
Fatto sta che grazie a quell’intercettazione presente nell’ordinanza dell’operazione Tritone, i carabinieri scoprono come il business della droga si era esteso ai Castelli e all’Eur grazie appunto al gancio del “Biondo”, lui amico di Briken Ndreka. Legami e intrecci tra esponenti della ‘Ndrangheta e narcos albanesi.