Calabria, media e potere. Anche Pantano lascia il nano di Limbadi: “Ho detto no alla nuova linea editoriale”

Non solo Pasquale Motta. Anche Agostino Pantano, altro storico giornalista calabrese, ha lasciato LaCNews, il media comandato dal famigerato nano di Limbadi, al secolo Domenico Maduli. E anche Pantano se n’è andato sbattendo la porta e spiegando i motivi del suo addio. Motivi per i quali il nano dovrebbe diventare ancora più piccolo piccolo… Ma poiché in Italia si vendono più giornalisti che giornali, il Nostro ha già trovato come sostituirlo, intelligenti pauca. 

dalla pagina FB di Agostino Pantano

HO LASCIATO LAC, E’ IL CASO CHE VI SPIEGHI PERCHE’.
LA MUTAZIONE GENETICA DI QUEL CHE PIACEVA AI CALABRESI, E L’ACCANIMENTO CONTRO DI ME, NON POSSONO ESSERE COPERTI DALLA PROPAGANDA

Essendo un giornalista, comincio dalla notizia: pomeriggio (8 gennaio, tre giorni fa, ndr) mi sono dimesso da LaCnews24. Il licenziamento ha valore immediato, e senza il preavviso previsto in caso di scioglimento unilaterale di un rapporto di lavoro, essendo stato da me formalizzato in nome della “clausola di coscienza” contemplata nel contratto dei giornalisti. Otto pagine in cui ho spiegato la mia giusta causa, sofferta ma meditata, che dipende dal disagio che mi provoca la linea editoriale considerevolmente cambiata e la nuova organizzazione del mio lavoro personale che è stata disposta.

Potrei finire qui la mia comunicazione, del resto immagino quel #echisenefrega con cui molti potrebbero commentare in pubblico e in privato – o quel #unlavorononsirifiutamai che i più potrebbero pensare vista la crisi che c’è – eppure penso di dovere qualche spiegazione in più, trattandosi della vita di un mezzo che arriva nelle case, sui telefonini, quindi nella testa di molti di voi: ai quali tengo molto, altrimenti non farei questo mestiere.

LA LINEA
E’ stata decisa una blindatura della linea editoriale, con una ingerenza – ora ufficializzata in documenti formali – da parte della Proprietà. Senza scomodare i grandi del giornalismo, che chiarivano che “il padrone è il lettore, mentre l’editore è solo il proprietario del giornale”, a me sembra che questa mutazione organizzativa sia essa stessa una linea editoriale nuova, di cui prendo atto ma non approvo: la mia coscienza non approva.

L’ORGANIZZAZIONE DEL MIO RUOLO
La Proprietà, che non chiamo Editore – perché un editore dovrebbe “limitarsi” a promuovere una pubblicazione, non a partecipare a farla – dalla primavera scorsa mi ha messo nel mirino, con prove alla mano, e il nuovo direttore responsabile è sembrato assumere l’incarico di completare il mio annientamento professionale, per tacere dell’umiliazione personale che ha inteso reiterare senza degnarsi di farmi neanche una telefonata: non penso che sia solo inadeguatezza al ruolo, penso che ci sia un disegno a cui io mi sottraggo (tenendo di più alla mia salute e al mio onore, più che a un marchio che ho contribuito, nel mio piccolo, a rendere forte e credibile mentre altri lo accusavano di mafiosità e altri ancora campavano di prebende provando fastidio per quel giornale libero e incisivo che pure siamo stati).
Sintetizzati così i due punti della clausola di coscienza, passo alla esposizione della gravità pubblica di quanto ho toccato con mano.

A che serve una Proprietà che non si fida dei suoi giornalisti, neanche dei generali che nomina, figurarsi dei soldati che arruola? La risposta, che non è la macchietta che si vuol far credere – “noi siamo bravi, veloci e legalitari, chi non regge il passo, lasci” – la risposta è, a ben guardare, nella insopportabile deriva (insopportabile per la mia coscienza) che ogni mezzo di informazione può decidere di prendere, quando non è più il “network dei calabresi” ma il network della Proprietà. Non sono così scemo da non sapere che sempre capita così prima o poi, ho tre fallimenti di società editoriali alle spalle per sapere che arriva il momento in cui la notizia può diventare “moneta” in altri tavoli: diciamo questa volta che il tavolo non ho ben capito quanto, e in che modo, sia un tavolo nell’interesse del giornalismo, in ogni caso nulla che possa farmi restare un minuto di più per confondere la mia faccia con le fiche personali – politiche e non – che si buttano nelle partite future. Per molto meno abbiamo pianto le tragedie di colleghi, per molto meno abbiamo mandato a processo editori, per molto meno abbiamo deriso editori abortiti che chiedevano “a che ora posso vedere il giornale prima che vada in stampa ?”

Vi sono poi considerazioni che riguardano il mio lavoro. Ero un giornalista con contratto a tempo indeterminato, ma part time: la Proprietà, da una certa stagione in poi, non ha voluto investire su di me ma, soprattutto, ha piano piano pianificato il mio allontanamento: toccherà vedere perché.
Ho sempre lavorato nella redazione di vibo, trovandomi bene con tutti i direttori che si sono alternati – che mi impiegavano come inviato che si muoveva in troupe e auto aziendale – e del resto quando sono stato ingaggiato c’era già un corrispondente dalla Piana di Gioia Tauro. Inopinatamente, poi sono stato mandato in quel territorio, e mi sono adattato producendo da me riprese e montaggio, pur figurando nei turni della Redazione.
Ho chiesto alla Proprietà un contratto ful time, in considerazione delle maggiori spese affrontate per coprire ora in proprio un territorio di 33 comuni e 150.000 abitanti e offrendomi di turnare nella gestione del sito: mi è stato negato. Nella trasparenza da agosto scorso ho trovato un altro lavoro, un altro part time, che mi obbliga – con tanto di badge da strisciare giornalmente – a rimanere fisicamente nella Piana, e il nuovo direttore Russo che fa ?: arriva e dice che siccome sono bravo, devo ritornare a “dare una mano a Vibo”.
E lo fa senza sentire il bisogno – umano, siamo pur sempre colleghi – di propormelo di persona, prima di “sputtanarlo” in una riunione che era finalizzata a far vedere alla Proprietà quanto era bravo a eseguire l’ordine.
Già, ma quale ordine ?

L’ordine di punirmi perché nel maggio scorso avevo osato dire di no ad una richiesta della Proprietà, che chiedeva – tramite la redazione – una “intervista impossibile” sull’argomento porto di Gioia Tauro: non posso spiegarmi in altri modi l’accanimento che, ripeto, non può derivare da qualche euro in più che chiedevo (offrendo altro lavoro), e neanche dalla scelta di tagliarmi da qualsiasi organigramma della redazione, finanche dagli incarichi burletta che il direttore ha assegnato, all’ombra del “gruppo dirigente” nominato.
Neanche uno spazietto, pur essendo un giornalista più qualificato di altri – il tesserino da professionista che ho è servito per far acquisire punteggio alla tv nelle varie domande agli uffici pubblici e nulla più – e pur avendo le prove, scritte, che io per lungo tempo sono andato benissimo, non bene, anche per far evitare le querele… agli altri.

IL SENTIMENTO
Quando si lascia un mondo che per 7 anni è stato il tuo mondo è sempre un dolore. Dieci minuti dopo aver mandato la lettera formale, ho inviato un messaggio a diversi (non tutti) colleghi. Ho pudore e tengo per me l’emozione che ha provocato in me la loro risposta, la loro lunga telefonata, il nostro pianto: sono cose e sentimenti veri che in nessun “tavolo”, presente e futuro, in nessuna messa, in nessuna benedizione di questo o quell’amico – vero o millantato – la Proprietà potrà più brandire.