di Antonella Policastrese
Può darsi che si tratti di pure coincidenze o forse di misteriose congiunzioni astrali, ma da quando la Regione Calabria è diventata culo e camicia con la Rai, tutto quello che si produce a livello territoriale, soprattutto nel campo artistico, culturale ed eno-gastronomico, rastrella premi, apparizioni televisive, riconoscimenti urbi et orbi a dire basta. Qui tutto è talento, chiunque sappia recitare a memoria una poesia di Ungaretti diviene un grande attore; quelli che riescono bene nell’utilizzare gli strumenti informatici e le app, acquisiscono doti da grande regista e sommo musicista – compositore.
Per tutti costoro si trova sempre uno spazio in tv durante la messa in onda di uno degli sfigati programmi Rai dell’era digitale che nessuno sta a guardare manco se lo paghi. Un premio non lo si nega a nessuno; l’esito minimo è un buon piazzamento tra altri concorrenti in competizione. Tutto questo rassomiglia tantissimo a una celeberrima macchietta di Totò nei panni dell’inventore Serafino Bolletta, già noto per aver ideato la campana senza
battacchio e chiamato in Svezia a ricevere il premio Nobel per avere inventato la pipa con i fiammiferi annessi, fiammiferi di tipo svedesi, ovviamente.
Ma qui nella “Calabria Straordinaria” avvengono cose straordinarie. L’ultima è che il docufilm sui Bronzi di Riace “Semidei” è tra i cinque finalisti del premio “Nastri d’argento”, riconoscimento nazionale di settore. Si tratta di un lavoro cofinanziato da Regione
Calabria e Calabria Film Commission (anche se i due soggetti sono la mente e il braccio di un unico corpo, è bene ribadirlo). Il lavoro è stato realizzato in occasione delle celebrazioni per il cinquantesimo anno dal ritrovamento dei “Bronzi” nel mare di Riace. Per l’occasione furono stanziati tre milioni di euro, ma non solo per realizzare il documentario, ovviamente. Il risultato è che non sappiamo nulla di più di quanto già sapessimo circa il sensazionale ritrovamento e le ipotesi su chi fossero quei guerrieri bronzei, chi ritraessero, da dove venissero e dove andassero prima di finire in mare. Di “mappazzoni” scientifici se ne
sono sentiti a dire basta; c’è chi è arrivato a dire che i “Bronzi” venissero da Roma, ma per andare dove? Che fossero stati realizzati a Reggio Calabria, ma che le terre di fusione erano di Argo e che raffigurassero Eteocle e Polinice oppure, in alternativa, Aiace e Oileo, ma buttandovi nella mischia pure Tideo e Anfiarao.
Adesso di sicuro c’è che il docufilm sui “Bronzi” realizzato dalla Regione Calabria, è motivo di orgoglio quantomeno per Giusy Princi, vicepresidente e pure assessore regionale alla Cultura, e per Anton Giulio Grande, commissario di Calabria Film Commission. Difatti un comunicato apparso sul portale della Regione esordisce così: “SEMIDEI, IL DOCUFILM TRA LE CINQUINE FINALISTE DEI NASTRI D’ARGENTO. PRINCI E GRANDE: “ORGOGLIOSI CHE I BRONZI SIANO STABILMENTE SU PALCOSCENICI NAZIONALI”.
A parte che i film sono visibili, solitamente, sugli schermi e non sui palcoscenici (sicuramente si tratta di un lapsus freudiano correlato al grande palco di Capodanno allestito per Amadeus), che assessore e commissario ne siano fieri non comporta che tutti i calabresi lo siano allo stesso modo, ma si tratta solamente di un augurio, quello espresso nel comunicato di Princi e Grande. E’ che di bronzo ne circola tantissimo in Calabria, quello di cui sono fatte molte facce. E prima o poi qualcuno dovrà spiegare che investimento sarà mai quello di sperperare denari della collettività in siffatte miserie.
Pochi giorni addietro a Calabria Film Commission è piovuto sulla testa un altro “porcellino salvadanaio” contenente ulteriori 400 mila euro (tra novembre e dicembre scorsi ne aveva avuti altri 700 mila circa). E siamo dunque a un milione e cento mila euro in tre mesi, ma non è finita qui, in data 6 febbraio l’ente in house della Regione Calabria ha percepito, a titolo di saldo della convenzione esistente, altri 260 mila euro Totale: un milione e 300 mila, euro più euro meno. Però stavolta nel decreto dirigenziale che liquida la somma di 400 mila euro, si fa espresso riferimento alla provenienza e alla destinazione dei soldi. Provengono da uno stanziamento di un milione e duecentomila euro dal FUNT, acronimo di Fondo unico nazionale per il Turismo. La destinazione invece è realizzazione e gestione, quota parte, del format televisivo “L’anno che verrà”.
Resta inteso che i denari per realizzare il documentario sui “Bronzi” provenivano da altri stanziamenti, ma quanto è costato non è dato saperlo, si sa invece che la dotazione finanziaria a disposizione della Regione Calabria per il comparto del Turismo è un fiume carsico alimentato da risorse che provengono tanto dallo Stato quanto dalla UE e da fondi regionali. Il problema sta nel suo utilizzo, perché, per esempio, il docufilm sui “Bronzi” è arrivato dopo la miniserie tv “Donne di Calabria” realizzata quando a commissario della Film Commission c’era Giovanni Minoli. Un’altra botta di denari che però era niente rispetto a quella madre di tutte le minchiate che fu la realizzazione degli studios cinematografici nell’area industriale “ex Sir” di Lamezia. Uno stanziamento iscritto al bilancio della Regione Calabria di ben 20 milioni di euro.
Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande, ma non la pensava così la buonanima di Jole Santelli che, da governatrice della Regione Calabria, volle un “grande pennello”, cioè quel Giovanni Minoli che, a dispetto delle accuse per i suoi trascorsi craxiani, era e resta uno dei più grandi giornalisti e autori televisivi italiani insieme a Giò Marrazzo e Gianni Minà. Programmi come “Quelli della notte” con Renzo Arbore e fiction come “Un posto al sole” sono nati da idee di Giovanni Minoli, così come gli indimenticabili programmi d’inchiesta quali “La Storia siamo noi” , “Mixer” e persino “Report”. Le regole d’ingaggio tra la Santelli e Minoli erano precise: completamento degli studios cinematografici di Lamezia e realizzazione di un serial televisivo sul modello di “Un posto al sole” .
Ma la Santelli, purtroppo per lei, passò a miglior vita.
Della funzione e persino della stessa esistenza di Giovanni Minoli come commissario di Calabria Film Commission, il suo successore, Roberto Occhiuto, non ne tenne conto alcuno, non voleva un “grande pennello” evidentemente, ma semplicemente uno che avesse per cognome Grande e che di nome si chiamasse Anton Giulio, come il compianto regista di infiniti sceneggiati televisivi, Anton Giulio Majano. Minoli apprese dalla stampa di essere stato congedato da Roberto Occhiuto, per scadenza del suo mandato di commissario. Non fu neppure “telefonato” dal Governatore al quale, sempre a distanza e in maniera indiretta, il grande autore e giornalista televisivo, rispose così: «Era stata Jole Santelli a pregarmi di venire qui. Ma andare via non è un grande dolore, ho altro da fare, un lavoro ce l’ho». Fu così che ebbe inizio l’era di Calabria Film Commission secondo Occhiuto e del grande amore tra Regione Calabria e televisione di Stato.
Alcuni dei collaboratori, anzi diciamo pure “figliocci”, chiamati da Giovanni Minoli gli sono sopravvissuti professionalmente, e ancora “fanno carte” dentro Calabria Film Commission;
uno tra questi è il leggendario “GianMelo”, le cui stimmate massoniche valgono per tutte le stagioni e a dirla tutta combaciano alla perfezione sia col figlio diretto di Cetto, “GianMelo” appunto, ma anche con l’altrettanto mitico Melo, u figghiu du “pruppu”… Uno vale l’altro.
Come dite? E Giampaolo Calabrese da Cosenza? Beh, lui non era in quota Minoli ma era ed è decisamente ancora in quota Gattopardo (il procuratore capo di Cosenza) e Fratello Cazzaro (Mario Occhiuto, per i non cosentini). Povera Calabria nostra!