Che la sanità in Calabria, come in molte altre regioni italiane, non sia uguale per tutti è un fatto tristemente noto. La possibilità di ricevere cure adeguate sembra sempre più legata alla disponibilità economica e al nome che porti: chi ha i mezzi o un nome altisonante può accedere alle migliori cure “somministrate” da grandi professionisti della medicina, mentre tutti gli altri devono affidarsi a un sistema sanitario pubblico oramai allo sbando. Ogni giorno, episodi di negligenza, mancanza di professionalità e disumanità si consumano nel sistema sanitario pubblico, mettendo a rischio la vita dei pazienti e minando sempre più la fiducia collettiva in un servizio che dovrebbe garantire equità e il diritto alla salute per tutti.
Un esempio emblematico di questa situazione è il centro dialisi dell’Ospedale Santa Barbara di Rogliano, dove la gestione sanitaria è diventata sinonimo di inefficienza e scarsa professionalità, con l’aggiunta di una forte dose di disumanità in alcuni operatori sanitari che lì operano. Tutto ciò è riscontrato nella superficialità con cui il personale medico tratta i pazienti: in molti casi, questi vengono considerati semplici numeri, con cure limitate a un “protocollo minimo” che si traduce nell’accensione di una macchina per la dialisi, senza alcuna attenzione alle condizioni cliniche individuali del paziente.
Sciatteria e incompetenza sembrano essere le uniche qualità di un personale medico incapace persino di riscontrare una “semplice infezione”. Si limitano a schiacciare un bottone senza valutare nessun altro parametro clinico del paziente. Se tutto va bene, il paziente sopravvive; altrimenti, il problema diventa esclusivamente suo. La sofferenza fisica e psicologica del paziente nel centro dialisi dell’ospedale di Rogliano è totalmente ignorata, e la mancanza di empatia sembra essere la norma. Questo atteggiamento, oltre a essere moralmente inaccettabile, è vergognoso per chi esercita la professione medica. E non può essere giustificato nemmeno dalla cronica carenza di organico. È vero che il sovraccarico di lavoro rappresenta un problema reale, ma il rispetto e la cura per i pazienti non sono risorse che si consumano: sono qualità intrinseche ed essenziali che ogni professionista sanitario dovrebbe possedere. Un medico ha tra le mani la vita delle persone, e umanità e professionalità non possono mai venir meno.
Dietro questo disastro, però, c’è una responsabilità ancora più grande: la sanità pubblica, in Calabria, è sempre stata ostaggio della politica. Da decenni è utilizzata come strumento per costruire clientele economiche ed elettorali, riempiendo gli ospedali di personale assunto non per merito, ma per raccomandazioni e favori politici. Questa gestione clientelare ha penalizzato non solo i cittadini, costretti a subire cure scadenti o inesistenti, ma anche i tanti medici e operatori sanitari davvero competenti, che nel sistema sanitario pubblico ci sono, spesso messi ai margini in un sistema “malato” e corrotto. La crisi della sanità pubblica, tuttavia, non è solo il risultato di queste pratiche. È il frutto di anni di tagli ai fondi, cattiva gestione e una programmazione insufficiente.
Il caso di Rogliano è lo specchio di un sistema che ha trasformato un diritto costituzionale – il diritto alla salute – in un privilegio riservato a chi può permetterselo. In Calabria, se sei qualcuno, arriva un’equipe da fuori per operarti; se non sei nessuno, resti in balia della scarsa professionalità di qualche raccomandato. I medici davvero bravi, intanto, continuano a fuggire dalla sanità pubblica, schiacciati da una struttura che non premia il merito e da un ambiente avvelenato. E questa è una realtà che nessuna società civile dovrebbe mai accettare.