L’iter giudiziario su uno dei femminicidi più atroci di sempre si è concluso, a 12 anni dalla tragedia, con un maxi risarcimento milionario per la famiglia della vittima, da parte dei genitori dell’omicida: vittima e carnefice erano entrambi minorenni. Lei era stata uccisa nel fiore degli anni e nel peggior modo possibile, prima colpita con numerose coltellate, poi gettata in un fosso, e infine bruciata viva con della benzina. La tragica vicenda di Fabiana Luzzi, morta a soli 16 anni per mano del fidanzato dell’epoca, Davide Morrone, che aveva 17 anni nel 2013, nei giorni scorsi ha fatto registrare un ennesimo passaggio giudiziario, probabilmente l’ultimo.
I familiari della giovane, uccisa barbaramente in una campagna di Corigliano Calabro (oggi Corigliano-Rossano), in provincia di Cosenza, il 24 maggio del 2013, infatti, non si erano potuti costituire parte civile nel processo penale, perché la normativa non lo prevede quando l’imputato è un minore, quindi avevano dovuto intentare una causa civile per richiedere i danni ex novo, dopo la condanna definitiva a 18 anni di reclusione, da parte della suprema corte di Cassazione nel 2016, che aveva riconosciuto la seminfermità mentale dell’omicida. Il Tribunale di Castrovillari nei giorni scorsi ha pubblicato la sentenza di primo grado che ha condannato l’assassino di Fabiana, come diretto responsabile, e i suoi genitori, in solido, per «culpa in vigilando» e «culpa in educando». Padre e madre dell’assassino, in pratica, sono stati ritenuti responsabili dai giudici per non aver vigilato sul figlio e sulla sua educazione. Sia Davide sia i suoi genitori dovranno pagare circa 1 milione e 300 mila euro di danni alla famiglia di Fabiana Luzzi. Un sentenza storica destinata a fare giurisprudenza.
I familiari di Fabiana, rappresentati dagli avvocati Gisberto Spadafora e Ferdinando Palumbo, non hanno inteso rilasciare dichiarazioni al momento. «Parleremo al momento opportuno – ha affermato Mario Luzzi – ma solo quando ci sentiremo pronti a farlo».
La mattina del 24 maggio del 2013, Davide e Fabiana, dopo la scuola, si erano allontanati dalla cittadina calabrese per cercare un luogo isolato. I due, stando al resoconto processuale, erano arrivati in un casolare in contrada Bonifacio di Corigliano Calabro, ma poco dopo era scoppiata una lite e i due avevano iniziato a discutere animatamente. Le cose tra i due proseguono con una sequenza orribile di eventi. Davide estrae un coltello, che poi dichiarerà di portare sempre con sé da circa un anno e mezzo, e colpisce la ragazza per ben 25 volte. Fabiana si accascia al suolo ma non muore subito. Il ragazzo si libera del coltello, del cellulare di lei, nonché dello zainetto, gettando tutto oltre un muretto. Poi torna da lei e la prende in braccio sanguinante, ma ancora viva, per buttarla al di là di una recinzione di un campo adiacente. E infine si allontana e a bordo del suo motorino e fa ritorno a casa dove si dà una ripulita e getta gli indumenti sporchi di sangue nella spazzatura.
Gli amici e i familiari di Fabiana non vedendola rientrare iniziano le ricerche e contattano più volte Davide chiedendogli se l’avesse sentita ma, in tutta tranquillità, risponde dicendo «che anche lui la stava cercando». Davide a quel punto si mette alla guida del suo motorino, si reca presso un distributore di benzina, e riempie una tanica di carburante, quindi torna sul luogo dove aveva lasciato Fabiana, che incredibilmente è ancora viva in quel momento, la cosparge di benzina e le dà fuoco. Morirà pochi minuti dopo. Nel pomeriggio di quel terribile giorno di maggio di 12 anni fa, finito in manette, sarà Davide stesso a raccontare tutto agli investigatori, che ormai lo avevano nel mirino, dicendo anche che Fabiana aveva tentato fino alla fine di togliergli la tanica di benzina dalle mani, senza però riuscirci. Perdendo la vita per mano di chi diceva di amarla. Fonte: Corriere della Sera