Italia giù nell’indice mondiale della libertà di stampa: “Colpa del governo Meloni”

(Francesca De Benedetti – editorialedomani.it) – Non era un semplice inciampo. Era uno scivolamento profondo: scende ancora più in basso, l’Italia del governo Meloni, nell’Indice mondiale della libertà di stampa che Reporters sans frontières ha appena diffuso e che Domani ha visionato in anteprima.

Sempre più in basso

In una scala fatta di 180 gradini, in una gamma che va dalla prima posizione della Norvegia – eccellenza quindi della libertà di stampa – fino all’Eritrea, ultima in classifica, l’Italia galleggia adesso nella 49esima posizione. Ma la situazione non è statica: nello spazio di un anno, siamo scesi di tre posizioni.

E già nel 2024, quando il World Press Freedom Index ci fotografava al 46esimo posto, l’Italia era scivolata cinque posizioni più in basso rispetto all’indice 2023. Eravamo diventati così l’unico paese dell’Europa occidentale a entrare nella “zona arancione”, cioè quella ritenuta «problematica», in cui si trova l’Ungheria. Non a caso Rsf parlava di «orbanizzazione» dell’Ue sul fronte della libertà di stampa.

Ora la situazione è persino peggiorata. «Ci sono paesi che restano stabili in termini assoluti, ma che dato il miglioramento degli altri scivolano in basso nell’indice. Non è il caso dell’Italia: rispetto all’anno precedente è peggiorata sia in termini assoluti (nello “score”, il punteggio) che come posizione (la 49esima)», spiega a Domani Pavol Szalai che è a capo dell’ufficio Ue di Reporters sans frontières. «L’Italia scivola quindi di tre gradini, sempre nel gruppo dei paesi ritenuti problematici in termini di libertà di stampa. Tra i grandi paesi dell’Ue, è l’ultima».

Se si scorre l’indice, si troverà che persino la Slovacchia – che ha subìto gravi deterioramenti nell’èra di Robert Fico, lo stesso premier travolto in precedenza dallo scandalo per l’omicidio del giornalista Ján Kuciak e che oggi replica il modello Orbán – pur essendo peggiorata di ben 9 posizioni in un anno resta sopra l’Italia (38esima posizione nell’indice globale). Siamo più giù della Macedonia del Nord e persino sotto al regno polinesiano di Tonga (che è in posizione 46, dove l’Italia si trovava un anno fa).

C’è di peggio, certo: l’Ungheria – sempre nel gruppo dei “problematici” dove è finita l’Italia di Meloni – è in posizione 68, peggiora di una. Del resto quello ungherese di Orbán «è l’anti-modello di libertà di stampa», dice Szalai.

Il «fattore Meloni»

Come mai proprio l’Italia è diventata «l’ultima tra i grandi paesi Ue»? «Per le crescenti pressioni politiche sulla Rai e per le “slapp” (querele bavaglio, attacchi legali abusivi) rivolte contro testate critiche verso il governo tra le quali proprio Domani», spiega Pavol Szalai a nome di Rsf.

E spiega anche che «tutto ciò avviene a dispetto delle nuove regole europee, cioè in direzione contraria allo European Media Freedom Act e alla legge Ue anti slapp: in teoria la Commissione dovrà chieder conto di queste violazioni, anche se finora non ha fatto abbastanza per frenare il deterioramento della libertà dei media in Italia».

Ad allarmare particolarmente Reporters sans frontières è anche il fatto che la confidenzialità delle fonti giornalistiche – architrave della professione e della libertà dei media – sia «a rischio estremo, in Italia: lo si è visto sia dai tentativi di minarla per via legislativa, sia dai casi recenti di giornalisti vittime di sorveglianza». Il caso Cancellato e lo spionaggio sono tra gli elementi che segnalano l’ulteriore peggioramento rispetto a prima: casi simili «si erano visti in Ungheria o in Grecia, adesso anche in Italia, il che può ulteriormente indurre i cronisti ad autocensurarsi».

Ma è lecito attribuire lo scivolamento verso il basso al governo Meloni? «Sì. Questo governo ha contribuito in modo cospicuo al deterioramento della libertà dei media. Per quanto potessero esserci pressioni anche prima, questo esecutivo ha attivamente peggiorato la situazione, arrivando a sfruttare le vulnerabilità già presenti nel panorama mediatico per aumentare la presa sui media».

L’indice del 2025 registra per la prima volta «una situazione difficile per la libertà di stampa» a livello globale – con l’esasperarsi di pressioni politiche ed economiche – e il caso italiano esemplifica (in negativo) questa tendenza.