Cosenza. Verità per Salvatore. Le domande del fratello al Pubblico Ministero

In occasione della missiva inviata a questa testata giornalistica dai nostri legali – gli stessi legali di fiducia che assistevano anche mio fratello, Salvatore Iaccino – mi rivolgo direttamente a Lei, nella mia veste di fratello maggiore, per chiedere con tutto il cuore che venga fatta piena luce sulla morte di mio fratello. Confido nel vostro operato, nel lavoro delle forze dell’ordine e dei nostri legali. Auspico che si riesca finalmente a scoprire la verità sull’accaduto, perché noi familiari non riusciamo ad accettare che Salvatore si sia tolto la vita senza un motivo reale, senza una causa che possa spiegarlo.

Mio fratello portava sempre con sé un piccolo zainetto, nel quale custodiva i suoi quaderni e le sue penne. Scriveva ogni giorno: raccontava le sue giornate, annotava i pensieri, gli stati d’animo, i nomi, i fatti. Era rarissimo vederlo senza quel suo zaino, girando per la città Eppure, signor Pubblico Ministero, quei quaderni non ci sono stati mai consegnati. Salvatore è rimasto in quella struttura per ben otto mesi. Che fine hanno fatto i suoi appunti? Che fine hanno fatto i pochi soldi e le sigarette che nostra madre gli portava ogni giovedì, insieme a 150 euro? Non è per l’importo – lo voglio chiarire – ma per il principio: chi muore lì dentro, non lascia mai nulla. Niente viene restituito. Nulla di ciò che era suo.

E proprio durante una di quelle visite del giovedì, nostra madre notò sul volto di Salvatore evidenti graffi. Fu lui stesso a confidarle di essere stato picchiato dagli infermieri. Mio fratello non era tipo da mentire.
Poi, il giorno in cui il suo corpo fu sistemato nella bara, quei segni erano ancora visibili: un graffio sotto la barba, sul lato destro del volto, e un altro a un dito. Ci auguriamo che i periti incaricati li abbiano rilevati, documentati, e considerati come elementi di rilievo.

Vorrei anche porle una serie di domande, alle quali finora nessuno ha saputo dare risposta. Perché, quando mio fratello gridava aiuto da una finestra (come riportato da una giornalista), gli operatori non hanno allertato il 118?
Perché, essendo ai domiciliari in quella struttura, non sono state chiamate le forze dell’ordine?
Perché la famiglia non è stata informata dell’accaduto dagli operatori, ma solo tramite il nostro avvocato?
Che motivo avrebbe avuto mio fratello per farla finita, se stava aspettando con gioia il suo ritorno a casa, proprio per il suo compleanno?
Perché avrebbe compiuto un gesto simile se, insieme al suo legale, stava preparando una richiesta per ottenere gli arresti domiciliari a casa nostra?

Salvatore non era un violento. Aveva commesso degli errori, sì, ma aveva anche deciso di assumerne le responsabilità. Aveva chiesto al suo avvocato di poter risarcire i danni causati. Questo era mio fratello: una persona che voleva rimediare, non scomparire. Aveva bisogno di aiuto, non di essere seppellito a 48 anni. La nostra famiglia non avrà mai più pace. Salvatore non tornerà. Ma esigiamo almeno la verità.

Con rispetto e con dolore,
Antonio Iaccino