Cetraro. Le ombre nere che si addensano dietro lo stallo della caserma dei carabinieri

di Saverio Di Giorno

Cetraro si sveglia all’indomani delle elezioni con il sangue sulla strada. Ancora una volta. A distanza di non molto tempo dell’altro omicidio in pieno centro. In molti di questi casi pregiudicati. Dopo l’andirivieni di Muto dai domiciliari. Un omicidio fatto in pieno stile mafioso, con tutte le liturgie simboliche del caso: all’indomani delle elezioni. Giorno simbolico, appunto, che sa di monito. La solita grammatica delle date di sangue. Elezioni che hanno visto residui di quegli anni ’80 che sembrano tornare. E torna prepotente la domanda: ma perché nessuno vuole aprire questa caserma dei carabinieri a Cetraro?

Bene, oggi in esclusiva possiamo aggiungere dei dettagli. Dietro la costruzione di questa caserma, che resta lì costruita è vuota, anche se alla lontana e indirettamente ci potrebbe essere la stessa mano dei clan. Partiamo dall’inizio, anche perché questa storia parte molto da lontano. A fine 2001 quando c’era una società di Scalea che aveva chiuso il contratto per la costruzione. Subentra però una società, la Ottagono srl, che ha sede a Vicenza. Tale società costruisce effettivamente l’immobile. È tutt’ora ben visibile, vista mare.

Il permesso dal demanio arriva nel 2017. E qui comincia una querelle con il Demanio che la revoca, la società contesta e tutto finisce di fronte alle autorità. Si parla di occupazione abusiva, si contestano mancati pagamenti. Il vero epilogo della vicenda è la situazione fallimentare nella quale versa dal 2019 la società (Ottagono srl). Quale novità! Un fallimento davanti al Tribunale di Paola. Paola è luogo privilegiato per il fallimento delle attività.

Abbiamo deciso di approfondire. Innanzitutto, in quel luogo o vanno i carabinieri o l’immobile va demolito perché è stato costruito in deroga ai vincoli proprio per la speciale destinazione. Un accordo fatto innanzi alla prefettura, come si diceva.

Il resto forse è anche più interessante: la storia della società di Vicenza in realtà è solo una parte. Solo l’inizio anzi una metà. Seguendo la scia del denaro troviamo che questa società ha due anime: una vicentina (al 2022) in mano a tale C.M. vicentino. L’altra anima è invece a sua volta un’altra società, questa però registrata a Paola, in via Cavour.

Tale impresa edile paolana è riconducibile, stando almeno all’ultimo aggiornamento delle carte rinvenute, è riconducibile ad uno degli indagati dell’inchiesta Coffee Break del 2009. L’operazione riguardava illeciti quali usurariciclaggio di denaro sporco e false fatturazioni, che in poco tempo aveva prodotto un volume d’affari da oltre 40 milioni di euro. L’inchiesta giunta al primo grado nel 2011 ha visto la prescrizione per il proprietario di questa azienda, ma insieme a lui e meno fortunati con condanna in primo grado c’erano nomi noti sul territorio quali Massimo Aceto, Iacovo, Agostino Briguori. Nomi più volti collegati dalle cronache e dai tribunali al clan Muto.

Riassumendo: la società che ha costruito la caserma dei carabinieri è in parte nelle proprietà di un’altra azienda, questa volta paolana, riconducibile ad uno degli indagati prescritti di Coffee Break insieme ad altri nomi vicini ai Muto. Se quelle strade non fossero periodicamente macchiate di sangue sarebbe una commedia di Gogol

Restano tante domande aperte: è emerso tutto questo dai controlli fatti del demanio? Tra le varie criticità emerse c’è anche questo? Cosa ne pensa la procura? Com’è possibile che Diamante riesce ad avere una caserma (per la polizia questa volta) pagata milioni dal Comune e nessuno riesce a sbloccare la vicenda cetrarese? La pulizia e i regolamenti di conti di questi mesi sono un ricambio dell’ala militare, dal momento che il “tesoro” dei Muto e i loro collegamenti nel cosentino e sulla costa sono ben custoditi nelle casseforti di aziende in apparente fallimento?