di Giovanni Mondera
L’ordine cronologico delle dipartite del nostro nucleo familiare originario può apparire naturale in senso temporale, modalità a parte, considerando il mio arrivo al mondo l’ultimo della prole. Quella di Nadia l’ultima sepoltura vissuta da componente, visto che ovviamente non potrò assistere alla mia. L’amarezza sta nell’accanimento della sorte nel restringerne i tempi d’esistenza ad ogni membro. Dai ricordi infantili al mare anni Settanta e quelli un po’ più netti d’adolescenti anni Ottanta, mi s’aggrovigliano allo stomaco.
Io e mia sorella da ragazzi però non siamo sempre stati in sintonia. Lei era avanti e di parecchio ed io non lo sapevo. Lotta impari anche nello studio, di ogni dubbio Nadia era l’Accademia della Crusca di parentato e vicinato. Poi un po’ più in là nel tempo, in un battibaleno, addio ai genitori e l’arrivo della Sla. Il girovagare su e giù per l’Italia alla ricerca di consulenze salvifiche, s’infrange all’ospedale di San Giovanni Rotondo. Verdetto: Sclerosi Laterale Amiotrofica o cosiddetta malattia del secondo motoneurone. Silenzio e disperazione. E mo’? E niente, l’affrontiamo disse. E da lì la mutazione in leonessa dotata di superpoteri, già palesati in verità nella sua prima vita. La seconda, lunga ventun anni, si è interrotta per sfinimento e a malavoglia in un anonimo stanzino del pronto soccorso di Cosenza alle nove e trenta di un’uggiosa mattina di fine maggio. L’ultimo compito da suo “sbriga-carte”, il doveroso e sentito ringraziamento per suo conto a vicini, amiche, amici, operatori sanitari, istituzioni, enti, associazioni, autorità, badanti e a tutti coloro che con una visita o un pensiero, seppur a distanza, le hanno sollevato anche solo per pochi attimi quel macigno catastrofico catapultatole addosso chissà mai per quale torto, e che giorno e notte ha provato invano a sopraffarla.









