Noi calabresi siamo veramente stanchi (di Enza Sirianni)

Siamo stanchi

di Enza Sirianni

Noi calabresi siamo stanchi. Veramente stanchi. Frase molto comune, quasi banale visto l’andazzo delle cose, ma che, nella sua lapidaria immediatezza e chiarezza, è la più adatta per esprimere lo stato d’animo degli abitanti di questa terra che subiscono, pagano, assistono impotenti all’orgia del potere, ricordando il titolo di un famoso film del 1969 del regista greco Costa Gavras. Non è, mi si creda, un modo di dire buttato là tanto pour parler: semplicemente non ne possiamo più.
Ma chi ci può soccorrere e risollevare da questa condizione di scoramento, disgusto, nausea di fronte allo sfacciato maltrattamento che ci viene riservato da chi dovrebbe, per il ruolo, la carica, l’incarico che ricopre, garantire funzionamento, legalità, trasparenza, servizi, cura dei cittadini? In parole povere, chi può salvarci dalla deriva, dall’arbitrio divenuto norma, dall’abuso e sopruso di personaggi vari che fanno il bello e il cattivo tempo nella totale impunità? La magistratura? La politica? L’esercito?

Nessuno si salva da solo, se non per barricarsi nel proprio privato a mo’ di ultima difesa, estremo riparo. Nessuno viene salvato da altri o, come nei film d’antan, dal famoso “arrivano i nostri”. Ci si salva tutti insieme. Punto. Ma per opporre una resistenza collettiva alla decadenza morale e allo stato di abbandono in cui versano troppe cose che fanno la differenza riguardo alla qualità di vita di una regione, occorrono sforzi coordinati della società civile che, attraverso il coraggio e l’impegno quotidiani si dissoci e prenda le distanze dalla rassegnazione, dalle scorciatoie di comodo e da qualsiasi complicità con gli aguzzini della nostra terra. Questa la sfida vera e non l’attesa vana della manna dal cielo. Non vi sono altre strade.

Ognuno si fermi un attimo a contare tutte le volte che si è ritrovato solo davanti a muri insormontabili, dalla burocrazia per la più banale delle pratiche o alla richiesta di un ricovero nel pubblico per curarsi. E mille altre cose che dovrebbero essere un diritto piuttosto che “favori” grazie alla conoscenza giusta che fa saltare le file e neutralizzare le neghittosità deliberate di gente profumatamente retribuita per fare ciò che invece non fa. Una lotta titanica fatta di attese a tempo indeterminato, di esercizi sovrumani di pazienza, di ritorni a casa con la tromba nel sacco, di spugne gettate, di esborso di denari per chi ce li ha, di umiliazioni e solitudini, si sconfitte senza appello, di fughe, di migrazioni/ emigrazioni in cui risuona intatto quel “via via via” del potentissimo canto di Franco Costabile. Non è cambiato nulla. Siamo sempre noi, i fratelli di quell’immenso poeta che la nostra terra ci diede, dove è stato sempre silenzio.

In questi giorni, il silenzio è interrotto dall’eco mediatica di inchieste, indagini che coinvolgono alcuni dei cosiddetti intoccabili. Ci saranno, forse, dei rinvii a giudizio, magari pure qualche processo che si chiuderà con condanne lievi, toccanti assoluzioni, opportune prescrizioni. Tanto rumore per nulla…

Nello scrivere, mi si sovrappongono immagini di film, romanzi che hanno raccontato la nostra disperazione, che hanno fatto intendere che tutto è inutile, che tanto, in conclusione, vincono sempre loro, che il lieto fine è un’invenzione dei buontemponi, che è meglio mettersi l’anima pace e non farsi il sangue acido. A questi flash della finzione artistica, si mescolano spezzoni di vita reale, che ognuno di noi ha bene impresso nella mente. Per diretta esperienza.

Per esempio, il mare del golfo di Sant’Eufemia, che cambia colore a seconda delle ore del giorno e delle correnti, divenendo giallo, verde, marrone. Da un quarto di secolo almeno, questo tratto dei quasi 800 km di costa calabrese è un enigma di sporcizia, di inquinamento, di impraticabilità e ancora siamo ai piedi del pero. Niente, non si smuove niente perché si toccherebbero interessi economici, si dovrebbe andare a fondo, si scardinerebbero connivenze, coperture, si scoprirebbero omissioni e volute distrazioni. E allora? Fateli sfiatare, arrabbiare, parlare a vuoto. Due mesi estivi passano in fretta e il tempo, per lor signori, è l’oppio dei popoli. I danni? Qualcuno li pagherà. Di sicuro non i responsabili.

Spezzoni di vita reale. Per esempio, andare in un qualsiasi Pronto Soccorso e vedere il carnaio nella sua plastica composizione, dall’energumeno di turno, alla dolce vecchietta accompagnata dai figli che ha male ai “noffi” e al cubano volenteroso che non capisce, spiega che lei ha sofferto in passato di “pietre e dogghie cualliche”. Nell’attesa, qualcuno scivola a terra e si fa addosso. Oh, ma quello è uno che non sta bene di testa. Non vi avvicinate che la pipì vi arriva ai piedi.

E andiamo avanti così. Siamo stanchi. Veramente stanchi. Stiamo tutti sopravvivendo in questa condizione che ci stanno facendo credere ineluttabile. Ma noi dobbiamo vivere per noi, i nostri figli, per questa terra martoriata, di una bellezza struggente e dolorosa. Non possiamo più permettere che un manipolo di ignobili personaggi ipotechi le nostre vite. Non più! E allora diamoci una seconda possibilità perché siamo noi, solo noi, il nostro destino.