Egregio direttore,
non sono mai stato un moralista, né mi scandalizzano gli eccessi, purché non provochino danno ad altri. Ognuno è libero di scegliere come vivere o autodistruggersi. Ma ho sempre pensato che la libertà vera sia anche consapevolezza. E per essere consapevoli delle proprie scelte e delle loro conseguenze, serve una certa maturità. Una maturità che non si insegna a scuola, che non si compra su Amazon, ma che arriva lentamente, a volte dolorosamente, con gli anni, con l’esperienza, con le cadute. È proprio di questo, egregio direttore, che voglio parlare. Di quale esperienza, di quale maturità può disporre un ragazzino di 15 anni nello scegliere ciò che gli serve per vivere o per distruggersi? Nessuna, se parliamo di scelte prese più per spacconeria – che è tipica di quegli anni – che per consapevolezza. Perché a quell’età si vive per il gruppo, per il branco, per l’approvazione. Si è fragili, malleabili, esposti. E spesso si cade, non per scelta, ma per emulazione.
Abito in centro, e l’altra sera, rientrando a casa intorno alle 23, ho visto qualcosa che mi ha provocato una rabbia feroce. Di solito parcheggio in una traversa un po’ appartata, e anche quella sera ho fatto lo stesso. Mentre cercavo posto, ho notato, tra due auto parcheggiate, un gruppetto di ragazzini. Appartati, con fare sospetto. Armeggiavano con qualcosa. Parcheggio, scendo. Loro mi vedono, ma non si scompongono. Continuano. E quello che vedo non lascia spazio a interpretazioni: stavano sniffando. Avevano posizionato una polverina su un cellulare e si chinavano, uno dopo l’altro, con una banconota arrotolata. Il più grande avrà avuto sedici anni. Forse. Li guardo. Vorrei avvicinarmi, scuoterli, urlare: “Ma che cazzo state facendo? Non lo sapete che questa porcheria è veleno puro?”. Ma desisto. Non tocca a me… Loro mi guardano, con quell’aria da piccoli uomini, da bulletti del “non me ne frega niente di te”. Ripongono il loro arsenale tascabile, si grattano il naso e se ne vanno, come se nulla fosse.
Quella scena mi è rimasta impressa. Non tanto per la sostanza in sé – a Cosenza ormai la cocaina si vende come il pane – ma per l’età dei consumatori. Pensavo fosse una leggenda metropolitana, la storia dei ragazzini che pippano. E invece l’ho visto coi miei occhi. E chissà quanti altri, come loro, stanno imboccando quella strada. Non per vivere, ma per distruggersi piano piano. E allora la domanda che mi pongo, e che giro a chi legge, è una sola: chi è quella merda umana che vende droga ai ragazzini? Chi è quel verme senza onore, quel rifiuto sociale travestito da uomo, che riesce a dormire dopo aver messo il veleno nelle mani di un quindicenne? Chi siete voi, scarti del mondo, che vi fate chiamare “pusher” come se foste dei gangster da film, quando siete solo codardi da marciapiede, parassiti senza dignità che campano rovinando gli altri?
E adesso arriveranno quelli che diranno – come sempre – che “è colpa della società, della scuola, della famiglia, del degrado”. Una litania comoda, un disco rotto per scaricare tutto su un’entità astratta e senza volto. Ma la verità è che qui c’è qualcuno in carne e ossa che spaccia, che piazza la merce, che prende soldi da ragazzini per vendergli morte.
E allora parlo a voi. Sì, proprio a voi, pezzi di merda che girate con le tasche piene di polvere e lo sguardo da boss da quattro soldi. Vi sentite furbi, intoccabili, protetti. Vi sentite i padroni del quartiere solo perché nessuno vi ha ancora messo spalle al muro. Ma la verità è un’altra: siete solo rifiuti, feccia della feccia, vigliacchi senza onore che approfittano dell’ingenuità e della fragilità di ragazzini per fare due spicci e sentirsi qualcuno. Non siete criminali romantici, non siete ribelli, non siete “quelli che ce l’hanno fatta”. Siete solo vermi che strisciano nei vicoli, che vivono rovinando l’infanzia degli altri. E vi va bene solo perché questa città, in fondo, vi lascia fare. Per paura. Per omertà. Per interesse. Ma ricordatevi una cosa: il silenzio che oggi vi protegge, domani potrebbe seppellirvi. E quando succederà, quando qualcuno inizierà a parlare, a sputarvi in faccia per quello che siete, non ci sarà più scampo. Perché nessuno vi deve rispetto. Nessuno vi deve niente. Nemmeno più il silenzio.
Lettera firmata









