Cosenza, la deriva del Castello Svevo non interessa a nessuno?

A campagna elettorale terminata spero che si possa riprendere una discussione, pacata e razionale, sul restauro e sull’uso del Castello Svevo di Cosenza perché mi sembra che esso rappresenti un caso paradigmatico dello stato della cultura a Cosenza ed in Calabria.

Vorrei ricordare che il Castello aveva bisogno di restauri già da moltissimo tempo. Esistono foto e documenti grafici che ritraggono, già negli anni ’60 (forse anche prima), le condizioni deplorevoli in cui versavano sia l’esterno sia l’interno del monumento.

I muri, le volte, le aperture, gli infissi, parte dei rivestimenti pavimentali, i servizi ed il tetto furono, molto discutibilmente è vero, rifatti negli anni ’70 e ’80 (all’epoca era Soprintendente Ceccarelli, qualcuno lo ricorderà per molte ragioni, alcune delle quali relative alla cronaca giudiziaria).

Questo vecchio e maldestro restauro dava, comunque, la possibilità di visitare il monumento, soprattutto dopo che il sindaco Mancini sfrattò il vecchio custode che ne era diventato, se non il proprietario, il gestore di fatto (qualcuno ricorderà con sdegno le feste danzanti a pagamento che, al pari di oggi, si svolgevano all’interno del monumento).

Come ho già scritto, fu il sindaco Salvatore Perugini che fece un bando per il recupero ed il restauro del Castello.

Castello di Cosenza1 Il bando fu vinto dal progetto del professor Dezzi Bardeschi e l’appalto dalla cooperativa Archeologia di Firenze. I lavori, come accade sempre, hanno subito molti ritardi al punto che è toccato ad Occhiuto, successore di Perugini, quasi iniziarli, continuarli e portarli a termine stravolgendo il progetto originario.

Il professor Dezzi Bardeschi, autore del progetto di restauro, si è dissociato dall’esecuzione e dall’esito finale, lamentando il fatto che si erano discostati totalmente dal suo elaborato che non prevedeva, per esempio, l’inutile e orrendo ascensore (per i disabili si poteva, e si può fare, all’interno, un monta-persone lungo le scale), che la copertura della cosiddetta Sala d’Armi non l’aveva disegnata in quel modo e, soprattutto, che essa era autoportante e cioè non inserita con putrelle e silicone nelle strutture murarie antiche come è avvenuto.

ascecastRifiuta anche la paternità degli infissi in alluminio con vetri a specchio, il rivestimento pavimentale in pietra levigata e molte altre cose ancora. La cooperativa Archeologia avrebbe, come dice il titolo della sua ragione sociale, dovuto non solo eseguire i lavori, ma condurre, ovviamente, anche degli scavi stratigrafici all’interno del Castello per metterne in luce l’origine e lo sviluppo architettonico, nonché condurre un’accurata indagine di stratigrafia verticale delle strutture murarie per verificarne la datazione, le superfetazioni ed i restauri.

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Nulla di tutto questo è di dominio pubblico, né è argomento di trattazione scientifica nelle sedi appropriate. Sono mai state condotte queste ricerche? Sono state rinvenute strutture antiche, medioevali o rinascimentali?

Se sono state rinvenute, sono state, forse, re-interrate per evitare che intervenisse la Soprintendenza archeologica a bloccare i lavori? Perché non abbiamo, noi cittadini, alcuna documentazione di queste ricerche, se, come prevedeva il progetto esecutivo, sono state effettuate? Sono state condotte ricerche statiche e sismiche sul monumento?

Il monumento è in grado, da un punto di vista statico e strutturale, di sopportare l’utilizzo al quale è stato ridotto: feste e festini con musica pulsante vomitata a livelli acustici e di vibrazioni inauditi e inaudibili?

caste2Il neo Soprintendente di Cosenza, il dottor Mario Pagano, ha verificato, sebbene abbia avuto poco tempo, il rispetto delle buone regole del restauro architettonico, dell’eventuale scavo archeologico e degli eventuali ritrovamenti?

Confido che il dottor Pagano, noto per la sua correttezza, vorrà verificare tutte queste cose e sono certo che vorrà procedere, anche, ad un riesame dell’uso del monumento che, siamo sicuri, non coincide con la sua idea di “valorizzazione”.

O dobbiamo ricorrere all’estremo rimedio dell’appello pubblico per attirare l’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione dei cittadini?

Alberto Frisone