Se avessimo una questura normale, con un ufficio stampa che funziona, non ci sarebbe bisogno di apprendere le notizie per “conto terzi”. Notizie spesso ingarbugliate e frammentarie. Che prima di essere divulgate necessitano di verifiche e riscontri e restano, sebbene controllate, sempre passibili di errore.
Ma si sa che la questura di Cosenza tutto fa tranne che chiarire fatti e circostanze, nonostante l’obbligo di informare i cittadini.
Anzi, più le cose sono ingarbugliate meglio è: vedi la gestione della velina dell’attentato all’auto dell’avvocato Manna. Attentato che per la questura è avvenuto a Rende mentre la realtà dice che è successo in via Falcone a Cosenza.
Possibile che l’ufficio stampa della questura non sa distinguere Rende da Cosenza? Un errore involontario di “battitura” del luogo dell’attentato da parte dell’addetto stampa? Ammesso che sia così, come mai non c’è stata nessuna rettifica ufficiale? Forse che il questore pensa che non sia necessario dare le corrette informazioni ai cittadini? O è il solito gioco di ingarbugliare la matassa per meglio gestire, a convenienza, eventuali risvolti dell’inchiesta?
Io non ci credo all’errore involontario del poliziotto che nel redigere la velina sbaglia Rende con Cosenza. Magari avrà pensato: siccome è il sindaco di Rende, l’attentato non può che essere avvenuto lì.
Mi chiedo: quando la polizia diffonde una velina non si accerta del contenuto? Possibile che prima di scrivere la velina, il poliziotto non ha sentito nessun collega, il dirigente dell’ufficio non ha letto nessun verbale della scientifica, non ha visto una foto?
Ha scritto il comunicato “a naso”. La sciatteria ci può stare, in questura ce n’è tanta, ma fino a questo punto è troppo. Se non funziona nemmeno l’ufficio stampa, figuriamoci i reparti investigativi e di prevenzione crimine.
Eppure le due auto sono sparite, chiedere alla questura chiarezza su questo, è come chiedere aru ciucciu i vulari.
Qualcuno dirà: il segreto favorisce le indagini, e poi non sono tenuti a dare spiegazioni. Ci può stare anche questo, ma fino ad un certo punto. In fondo non è mica successo un attentato dell’ISIS.
Siamo di fronte al più classico dei reati intimidatori: un’auto bruciata. Non hanno nemmeno chiarito la dinamica dell’attentato. Si è parlato di due bombe carta posizionate sui cofani delle due Smart, ma a sentire le testimonianze pare non sia così.
Una prima bomba carta è stata posizionata sotto la Smart dell’avvocato Manna provocando seri danni, mentre l’altra è stata posizionata sopra il cofano dell’altra Smart che sveliamo essere dell’imprenditore, concessionario d’auto, Dodaro. Bomba, questa, che ha provocato pochi danni.
Anche questa storia di posizionare due bombe la dice lunga sull’ingarbugliamento della matassa. A chi era rivolto il gesto intimidatorio? All’imprenditore o al sindaco? Anche se il posizionamento della bomba lascia immaginare, ora che conosciamo la dinamica, che l’atto intimidatorio sia rivolto al sindaco Manna. Sottolineando, però, che sin dal primo momento la questura ha preferito seguire la pista del racket, e dunque l’attentato sarebbe stato rivolto, secondo loro, all’imprenditore.
Certo è che è difficile credere alla tesi che non sapendo quale fosse l’auto, l’attentatore, nell’incertezza, le ha bruciate tutte e due. Per quanto rozzi possano essere i soggetti che si macchiano di questi reati, hanno dalla loro il mestiere. Se devono appicciare un’auto sanno dove andare e qual è la macchina. Non arrivano sul posto dell’azione ara vurri vurri.
E’ chiaro che l’ordine è stato: appicciate tutte e due le auto. Così da lasciare insoluto il dilemma: a chi è rivolta l’intimidazione? Tanto chi deve sapere sa.
Ecco perché, l’attentatore, si reca già sul posto armato di due bombe. Già sapeva che le auto da appicciare erano due. Perché se fosse stata una, si sarebbe quantomeno premunito del numero di targa.
A meno che non crediamo che l’attentatore è un cretino fino al punto di pensare che se ci fossero state 5 auto uguali l’avrebbe incendiato tutte e 5. Mah!
Come potete anche voi concludere, i dubbi sono tanti e le cose non chiare di più. Il perché la procura e la questura agiscano così, solo Dio lo può sapere, anche se noi, come diciamo da giorni, una idea ce la siamo fatta. Ma restiamo in attesa di un pronunciamento ufficiale della procura su tutta questa vicenda che come sempre accade a Cosenza non aspetta altro di scomparire piano piano nella nebbia. E chi si è visto si è visto.
GdD