Tra i tanti Cold Case di casa nostra, ce n’è uno del quale non abbiamo mai scritto ma che è vergognoso esattamente come tutti gli altri. Un caso, tra l’altro, per il quale i pentiti manovrati dalla procura di Cosenza hanno fatto di tutto per non arrivare alla verità.
Ci riferiamo all’omicidio dell’imprenditore edile Davide Chiappetta, perpetrato barbaramente il 29 dicembre 1992, in località Petraro di Rose (CS). A poco più di due anni da un altro gravissimo omicidio maturato sempre nello stesso ambiente del mercato edilizio: quello del costruttore e consigliere comunale di Rende Pino Chiappetta.
Il legale della famiglia Chiappetta, l’avvocato Vincenzo Belvedere, ha invitato la DDA di Catanzaro a riaprire le indagini oltre un anno fa e lo ha fatto con un approfondimento di indagini di grande livello. Iacchite’ ha spesso denunciato anche le consulenze di comodo di questo legale con il suo grande amico e “fratello” Raffaele Mauro alias Faccia di plastica ma in questo caso non possiamo non rilevare come abbia davvero fatto un buon lavoro.
Ed eccoci ai fatti.
Nonostante la presenza di importanti e significativi elementi, l’otto luglio 1998 il G.I.P. dr. Paola Della Vecchia ha emesso il decreto di archiviazione del procedimento penale N. 1183/96 nei confronti di Chiappetta Beniamino, Chiappetta Gino e Chiappetta Daniele, in ordine al reato di omicidio aggravato.
Il 28 aprile 2008 il G.I.P. dr. Antonio Battaglia ha autorizzato la riapertura delle indagini, a seguito della richiesta del Pubblico Ministero, dott.ssa Raffaela Sforza, Sost. Procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, il 09 aprile 2008.
Sebbene sia apparso necessario intensificare l’attività investigativa, il 26 febbraio 2013 il Pubblico Ministero, dott. Pierpaolo Bruni ha, purtroppo, richiesto al G.I.P. di disporre l’archiviazione del procedimento penale N. 1761/08 R.G.N.R. mod. 21 D.D.A.

A distanza di tanti anni non è possibile lasciare impunito un tale delitto che ha portato via il padre ai figli, il marito alla compagna. Soprattutto, è in nome della verità e dell’esigenza di fare chiarezza, Muse indiscusse dell’attività giuridica, che occorre individuare gli esecutori e i mandanti di tale barbaro omicidio. Anche alla luce dei tanti elementi rinvenuti durante le precedenti operazioni investigative, condotte in maniera scrupolosa dai vari operatori di giustizia, che si sono susseguiti nelle varie fasi, non è ipotizzabile non riaprire nuovamente le indagini per delineare in maniera certa e definitiva il nome dei responsabili.
Per quanto concerne la riapertura delle indagini, la giurisprudenza ritiene che, ai fini del riscontro dell’esigenza prospettata dall’art. 414 c.p.p., sia sufficiente che una nuova ipotesi investigativa risulti percorribile, anche se in conseguenza di una mera rivalutazione degli stessi dati già esistenti.
Nel caso in esame occorre, innanzitutto, fare luce sul ruolo svolto da Franco Chiappetta nel fatto delittuoso. Risulta necessario effettuare ricerche sul terreno che dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Franco Pino, è stato promesso a Chiappetta Franco per il suo apporto nell’omicidio di Davide Chiappetta.
Il Franco Chiappetta avrebbe, infatti, adescato Davide Chiappetta con una partita a carte, assicurandosi della presenza dell’ignara vittima sul luogo dell’omicidio.-
Inoltre, a supporto della nuova ipotesi investigativa, risulterebbe indispensabile considerare la natura dell’autovettura su cui si sarebbero spostati gli esecutori materiali dell’omicidio.
Franco Chiappetta nelle sue prime testimonianze, pur non essendo preciso sul modello dell’autovettura a bordo della quale si sarebbero allontanati gli assassini, dichiara che questa era di colore scuro. Nelle dichiarazioni di Franco Pino emerge un particolare: la sera dell’uccisione di Davide Chiappetta, lo stesso Pino, di ritorno da San Lucido, avrebbe incrociato l’autovettura di Mario Musacco presso località “Fosse” di San Lucido.
L’autoveicolo a cui facciamo riferimento è una Renault Clio di colore scuro. A bordo dell’autovettura, facilmente riconoscibile da alcuni particolari che lo stesso Pino preciserà, vi erano alcuni soggetti non identificati dal collaboratore di giustizia. La macchina scendeva verso Paola.
Pino precisa che l’autovettura, di proprietà di Mario Musacco, era particolarmente veloce, in quanto era un modello a 16 valvole. Nelle prime deposizioni, anche Franco Chiappetta avrebbe posto l’accento sulla velocità e, dunque, sulla capacità di acquisire dinamismo dell’autovettura, con cui l’automobile si sarebbe allontanata. Il tragitto percorso dalla Renault Clio era lungo una strada di campagna che consente di evitare la strada principale dove vengono ripetutamente effettuati posti di blocco.
Degli assassini in fuga non avrebbero, a supporto di questa pista investigativa, scelto una strada priva di controlli? Dalle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia i mandanti e gli esecutori materiali sarebbero stati Beniamino Chiappetta e due suoi figli, Gino e Daniele.
Tuttavia, Pino precisa che, se sull’identità dell’autovettura potrebbe affermare con certezza che si trattava della macchina di proprietà di Mario Musacco, non potrebbe, con altrettanta certezza, affermare che alla guida ci fosse proprio Musacco.-
Il primo punto su cui l’attività investigativa dovrà concentrare la sua ricostruzione è se sia stata utilizzata effettivamente quell’autovettura per raggiungere il luogo dell’omicidio di Davide Chiappetta e chi, effettivamente, ne fosse alla guida.
Dov’era Ennio Serpa quella sera? La famiglia Chiappetta poteva disporre dell’autovettura di Mario Musacco? Se fossero confermate le notizie acquisite durante la deposizione di Pino, la lista delle persone coinvolte potrebbe aumentare.
Nel disegno criminoso non sarebbero più solamente coinvolti Beniamino Chiappetta e due suoi figli, Gino e Daniele, ma avrebbero un ruolo da definire anche Mario Musacco, Ennio Serpa e Franco Chiappetta.
Da quanto letto e analizzato, risultano necessarie delle precisazioni sulla posizione di Mario Musacco, proprietario dell’autovettura incrociata da Franco Pino, che, con molta probabilità, sarebbe quella utilizzata dai responsabili dell’omicidio. Se anche non fosse stato alla guida dell’automobile, Mario Musacco dovrebbe comunque spiegare se la macchina si trovasse nella disponibilità di altri o se fosse a suo esclusivo uso.
Pur non avendo forti interessi personali per uccidere Davide Chiappetta, Mario Musacco era legato a Francesco Perna, boss della malavita, che voleva affermare la sua egemonia sul territorio cosentino e che vedeva in Davide Chiappetta un limite per consolidare la sua esclusiva potestà (per come dichiarato dai collaboratori di giustizia sentiti nel corso delle indagini).
Mario Musacco che, apparentemente, non aveva un risentimento tale da poter giustificare un così bruto gesto, avrebbe agito in nome di rapporti d’onore che lo vincolavano alle decisioni dei capi della cosca cui faceva riferimento, i quali avevano deliberato l’uccisione di Davide Chiappetta.
Ennio Serpa era in libertà, in quanto da poco scarcerato, dunque, in condizione di trovarsi sul luogo del delitto a quell’ora e di usare le armi, poiché notoriamente dotato di una mira precisissima, come più volte constatato. Anche in questo caso il movente che avrebbe indotto il criminale ad uccidere non sarebbe da ricercarsi in ragioni di dissidi personali.
Serpa, per riabilitarsi dopo un periodo di “forzata astinenza dalla malavita”, poiché costretto in carcere, poteva rivedere in quest’occasione una possibilità per rientrare a pieno titolo nell’attività malavitosa.
Quale situazione migliore della possibilità di “fare fuori” un uomo che è da ostacolo per i traffici dei vertici della cosca?
Gino Chiappetta, detto Ginello, descritto da tutti come un ragazzo aggressivo, aveva un forte interesse che l’avrebbe portato ad uccidere Davide Chiappetta.
I Chiappetta, che con la povera vittima avevano in comune il cognome, erano convinti che fosse da addebitarsi una qualche responsabilità a Davide Chiappetta per l’uccisione di Pino Chiappetta, fratello di Beniamino e zio di Gino e Daniele.
Gino poteva essere presente sul luogo del delitto ed aver accompagnato, con molta probabilità, Ennio Serpa durante la sparatoria. Franco Chiappetta racconta di aver visto allontanarsi due persone.
Il risentimento di Gino Chiappetta non era solo personale, ma raccoglieva il dolore e la rabbia di un’intera famiglia che credeva in questo modo di fare giustizia. Daniele Chiappetta, descritto da tutti come più schivo e timido, aveva gli stessi motivi di risentimento dei propri familiari nei confronti della povera vittima.
Inoltre, coinvolto è certamente anche Beniamino Chiappetta, che, al di là degli equilibri di potere tra cosche mafiose, aveva un interesse forte e personale ad uccidere Davide Chiappetta.
La necessità di riaprire le ricerche è richiamata anche dal fatto che nella fase delle indagini preliminari sono emersi, inoltre, elementi che non possono essere sottovalutati o non considerati.
La lettura di tali circostanze e la necessità di una loro spiegazione sono funzionali per una nuova attività investigativa. Non è giuridicamente possibile, né moralmente auspicabile, lasciare impunito un reato di tale gravità quando forti indizi e prove incontrovertibili sono lapalissiani.
Una lettura attenta dell’articolo 414 c.p.p. e della sentenza della Suprema Corte, (C. S.U. 22/3/200, n. 9), riconoscerebbe che l’elemento giustificativo per la riapertura delle indagini è la necessità di nuove investigazioni e non la presenza di nuovi elementi.
È indispensabile sottolineare, in aggiunta, che la lettura dei numerosi elementi già rinvenuti appare approssimativa e non approfondita. Un’attività di analisi minuziosa del materiale acquisito rappresenta la condizione di partenza per dare nuovo impulso ad un’attività investigativa tendente al riconoscimento della verità.
Nelle prossime puntate racconteremo nei minimi particolari la vicenda.
1 – (continua)