E lui insiste. Non ne azzecca una, e insiste. Da quando è segretario regionale del PD, cioè dal 2014, non ha fatto altro che guai. Nonostante sia stata provata la sua manifesta incapacità, la sua inadeguatezza a ricoprire ruoli politici, ancora non si arrende e insiste. Il personaggio lo avete capito tutti, è Ernesto Magorno. O meglio, don Ernesto Magorno che lui ci tiene al titolo.
Don Ernesto è il prototipo del politico che pur di diventare “qualcuno” è disposto a vendere l’anima al diavolo. Come ha fatto lui, affiliandosi al clan Muto. Una affiliazione che gli ha permesso di dominare incontrastato, con la protezione di Muto, il suo territorio: l’alto Tirreno cosentino.
Fino a diventare deputato, dopo essere stato per tanti anni sindaco di Diamante e consigliere provinciale. Ha imparato, in tutti questi anni a fianco di Muto, a gestire le sue due identità. Sa come vivere le due vite.

In pubblico si presenta con la sua faccia da chierichetto che a vederlo ti viene quasi voglia di fargli una carezza, promettendo a tutti benessere e felicità, in privato passa le giornate a derubare per conto dei suoi amici la sanità pubblica, lasciando i suoi concittadini senza cure e per strada. Così come farebbe un qualsiasi farabutto privo della benchè minima umanità. Servile coi potenti, ed infame coi deboli.
Anche Renzi, dopo la batosta referendaria che in Calabria è stata una tranvata, lo ha definito nel peggiore dei modi. Ha detto che non lo vuole sentire nemmeno nominare. E che prima se ne va e meglio è. E se dovesse fare resistenza ha dato ordine a Minniti di tirare di nuovo fuori l’intercettazione fatta dai ROS in cui si vanta di fare le ‘mmasciate a Franco Muto.
L’intercettazione è avvenuta all’interno dell’auto dell’imprenditore Tricarico – che gestisce tutta la sanità nell’alto Tirreno cosentino dopo che Magorno ha fatto chiudere l’ospedale di Praia – messa a disposizione con autista al segretario/deputato per le sue esigenze di spostamento in “incognito”.
Don Magorno non sapeva che l’imprenditore era attenzionato dalla DDA e che avevano riempiti di cimici i suoi uffici e le sue auto, tra cui quella in cui viaggia, e sentendosi sicuro si lascia andare, con l’autista di fiducia del boss, a tutta una serie di confessioni.
Dice di aver fatto il favore al boss di spostare quella persona dalle Poste di Bari a quelle di Cosenza. Dice di essere a disposizione del compare e che gli affari vanno bene. Una posizione, quella di Magorno, che nell’operazione fatta da Luberto denominata “Frontiera” contro il clan Muto di Cetraro, viene “stralciata”. Ma oggi le cose sono cambiate. E don Ernesto potrebbe perdere le protezioni di cui ha goduto fino ad ora.
Ecco perché insiste a non andarsene, nonostante la batosta referendaria. Perché sa che se perde i privilegi politici, perde anche gli amici degli amici della DDA che gli hanno parato il culo. E per non mollare e restare segretario, caccia scuse a più non posso.
Ha detto che se non si dimette Renzi, lui non si dimette. Ha capito l’andazzo e che è iniziata a serra i giru. Mattarella ha congelato le dimissioni di Renzi e la cosa, come abbiamo già detto, potrebbe andare per le lunghe. E da serpente qual è, Magorno, striscia e si attorciglia a qualunque cosa lo mantenga in gioco. Tanto di fare una figura meschina non gliene frega niente. Che cos’è a vrigogna lui non lo sa.
Se non fosse così come scrivo, avrebbe di sicuro già rassegnato le dimissioni, perché un politico che si dice onesto sa perdere, sa riconoscere la sconfitta e fare spazio ad altri laddove ha fallito. E questa descrizione non corrisponde a Magorno. Non resta altro che sperare che la sconfitta di Renzi abbia tolto ogni velleità politica a Gratteri e che questo lo riporti ad interessarsi di questi soggetti che sono il vero problema della Calabria. Se non se ne va con le buone, non restano che le cattive.
GdD