Cosenza, i Filosofi Guerrieri prigionieri di un incubo

Ad una occhiata superficiale potrebbero apparire come quattru fogli i lamiera arruzzata, su cui è stata tracciata una sagoma, poi ritagliata e ‘mbacchiate ‘nterra. Senza nessuna lode e con un po’ d’infamia. Roba ca nu qualsiasi battilamiera, o fabbro, facia miagliu. Se guardiamo con prevenzione l’arte il rischio di restare incastrati in questo concetto è concreto.

E’ dei Filosofi Guerrieri del maestro Giuseppe Gallo da Rogliano, che sto parlando. Che da qualche ora hanno trovato dimora in quel di piazza Fera/Bilotti, a completare l’estetica della piazza. Ancora qualche ritocco e la visione è completa, ma per i profani e i detrattori a tutti i costi, l’opera non emoziona, anzi, rende ancor più brutta la piazza che con la loro aggiunta assume le sembianze di un eterno cantiere: cemento e fiarru arruzzato.

Ho sempre sostenuto che la bruttezza della piazza è dovuta ai palazzi che la circondano che ne bloccano il “respiro”. Che impediscono alle vele di gonfiarsi col vento della fantasia. Di prendere il largo. A guardarla si ha l’impressione di un veliero prigioniero dentro una piscina, con confini definiti che bloccano ogni possibilità di “navigazione”. L’idea di fondo che voleva rappresentare i grandi spazi attraversati dall’uomo lungo il cammino della storia, tra elementi primordiali e luce ancestrale, si perde nella banalità urbana che la circonda. E i Filosofi più che rendere l’idea di viaggiare attraverso il tempo e la storia, sembrano, al contrario, prigionieri di un incubo.

Non sono per il “verde” a tutti i costi, e l’idea del disadorno metafisico mi piace. Il riverbero della luce solare che si sprigiona dal bianco dei mattoni, quando il sole illumina tutta la pizza, e che acceca gli occhi, restituisce bene l’idea dell’Inizio. L’inizio di ogni cosa: del mondo, e del viaggio dell’uomo attraverso di esso. Una visione surreale. Il brodo primordiale nella trasfigurazione artistica diventa mito: esseri supremi che tracciano le strade che un giorno l’uomo percorrerà. Seminando lo spoglio mondo (come la piazza) di saggezza, sapienza, e conoscenza.

Del resto la pittura metafisica insegna. “L’apparizione” (Schopenhauer docet) della piazza ai nostri occhi dovrebbe, all’impatto, suscitare desiderio e sorpresa. Come se fossimo all’interno di un sogno che come si sa travalica l’idea stessa che abbiamo del tempo, dello spazio, della casualità, offrendoci una realtà più vera. Per il dormiente il sogno è pura realtà. E dentro di esso possiamo andare anche al di là delle umane possibilità di azione in ognuno di noi latenti.

E’ il raggiungimento di una realtà non contingente il sentimento che dovrebbe suscitare l’opera nel suo insieme, ma purtroppo così non è.

Tutto questo si perde nel pacchiano di una architettura dove il surrealismo di questa opera non c’entra nulla. Sarebbe stato opportuno studiare un altro innesto artistico. Quello scelto, seppur valido, purtroppo non rende. Peccato.

GdD