Riprendiamo ad illustrarvi i particolari dell’incredibile “carrozzone” che avevano messo in piedi una parte del Pd, Mario Occhiuto e il Consorzio Valle Crati per fottersi i circa 200milioni in 15 anni della cosiddetta “gara del secolo” ovvero la gara che avrebbe dovuto affidare la gestione della depurazione cosentina ed è stata (per grazia di Dio) fermata in tempo.

Tutto era pronto per far vincere un’azienda vicina a Marco Minniti e ai servizi segreti, la General Construction (oggi Geko), che già gestisce l’impianto, anche senza gara, grazie a un provvidenziale dissequestro della procura della Repubblica di Cosenza. La procura, tanto per cambiare, protegge sempre i più forti. E in questo caso siamo davvero alla barzelletta perchè la moglie del presidente del Consorzio Valle Crati è un giudice della sezione penale del Tribunale di Cosenza, la signora Lucia Angela Marletta…
Nelle sue peripezie per assicurarsi l’affare, il signor Granata, oltre a denunciare un attentato che (come abbiamo dimostrato) è una incredibile bufala, ha fatto anche di più. Ha denunciato addirittura Assindustria Cosenza!
“… Sono rimasti basiti i vertici di Assindustria Cosenza – si leggeva in un articolo di Massimo Clausi sul Quotidiano della Calabria dello scorso mese di marzo – quando hanno letto dell’esposto/denuncia presentato dal presidente del cda del Consorzio Valle Crati, Maximiliano Granata. Nell’esposto Granata ventilava l’ipotesi di tentativi di turbare la gara sul depuratore di Coda di Volpe; elencando una serie di circostanze singolari avvenute nelle ultime settimane parlava anche di una missiva inviata dall’Ance al Consorzio il 13 febbraio scorso…”.
LA LETTERA
Vediamo, allora, cosa scriveva l’Assindustria al signor Granata, marito della signora giudicessa Lucia Angela Marletta del Tribunale di Cosenza…
Febbraio 2015, il direttore dell’Assindustria di Cosenza Rosario Branda scrive una lettera al Consorzio Valle Crati nell’approssimarsi della scadenza dei termini per la presentazione delle domande al bando di gara per la gestione della depurazione.
“Alcune imprese associate – scriveva Branda – hanno posto alla nostra attenzione il bando di gara pubblicato da codesto ente… evidenziando qualche perplessità circa la interpretazione estensiva della locuzione “investimento previsto per l’intervento”.
La precisa determinazione del relativo importo, infatti, risulta di fondamentale importanza per la partecipazione alla gara, dal momento che i requisiti necessari, previsti dall’art. 25 del D.P.R. 207/2010, sono parametrati al relativo valore risultante.
Sul disciplinare di gara, al punto 3.2 “Capacità tecnica ed economica e finanziaria”, si rileva che per investimento previsto per l’intervento, si intende: “… l’importo complessivo dell’intervento sui lavori (euro 34milioni 44mila 48) + l’importo stimato nei 15 anni di gestione dei lavori di manutenzione (euro 43milioni 171mila 890) + l’importo dei lavori previsti per trattamento terziario e separazione delle acque di pioggia (euro 4milioni) per un totale di 81milioni 215mila 938”.
Di diverso avviso sembra essere l’interpretazione data dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, la quale circoscrive tale valore al “costo necessario per la completa realizzazione dell’intervento, composto dalla somma di tutti i costi per i servizi di ingegneria e per la costruzione…”.
Nello specifico, seguendo questo indirizzo, così come le linee guida per la realizzazione dei documenti di gara per le procedure previste dall’art. 153 del codice dei contratti, pubblicate dalla stessa Autorità, sembrerebbe che l’importo da prendere a riferimento per la verifica dei requisiti tecnici ed economico/finanziari debba essere di 38milioni 44mila euro, tenendo disgiunto l’importo di 43milioni 171mila euro relativo ai 15 anni di gestione dei lavori di manutenzione, per i quali potrebbe essere più efficace e di maggiore tutela richiedere forme di garanzie di capacità economica finanziaria maggiormente in linea con la visione prospettica di lungo periodo individuata nel bando.
In questo modo, il perseguimento del pubblico interesse potrebbe assommare un doppio ed evidente vantaggio. Da un lato aumenterebbe la reale efficacia delle garanzie richieste, dall’altro, allargando la possibilità di partecipazione da parte delle imprese qualificate, innescherebbe meccanismi di maggiore concorrenza tra le imprese, in linea con le regole di mercato e le prescrizioni comunitarie.
In quest’ottica, si auspica che codesto ente voglia tenere nella considerazione opportuna queste nostre osservazioni provvedendo, se del caso, alla rettifica del bando di gara”.
In pratica, Branda contestava la capacità economica e finanziaria prevista dal bando come uno dei requisiti per partecipare alla gara. Questa deve essere commisurata all’investimento previsto per l’intervento. L’asino, però, casca su come deve essere calcolato questo investimento. Nel bando di gara vengono sommati i lavori sul depuratore (34 milioni) più l’importo stimato per i 15 anni di gestione e manutenzione (43 milioni) più i soldi necessari al trattamento delle acque, altri 4 milioni. In totale fanno oltre 81 milioni.
Una cifra notevole e non sono tante le aziende che hanno una capacità economico/finanziaria tale da sopportare un investimento simile. Per l’Ance si doveva scorporare l’investimento sull’impianto e quello per la manutenzione di 15 anni. Su questo sarebbe stato più opportuno chiedere, come avviene spesso nei project financing, una fidejussione bancaria o assicurativa o di un fondo investimenti. Ciò anche a garanzia della stazione appaltante perchè può anche succedere che una azienda abbia avuto, in passato, un fatturato così corposo ma vista la crisi in atto chi può dire, soprattutto su un periodo così lungo, se riuscirà a mantenerla?
La fidejussione garantirebbe tutti.
«Nessuna pressione – diceva Branda al Quotidiano della Calabria -: non abbiamo chiesto nè una proroga dei termini nè una modifica dell’importo a base d’asta nè una variazione del disciplinare. Solo rilievi tecnici che potevano essere accolti o meno. Fra l’altro li abbiamo inviati nella massima trasparenza via Pec, abbiamo anche inviato un’altra comunicazione (il 27 febbraio scorso, ndr) per sollecitare una risposta alla nostra comunicazione, ma senza esito. Aggiungo che anche l’appalto di piazza Bilotti è stato fatto così e Granata, che è stato indicato dal Comune di Cosenza, dovrebbe saperlo… Quanto al rischio di perdere il finanziamento bisognerebbe chiedersi perchè si è arrivati col bando con tempi così risicati e, ancora, il finanziamento potrebbe anche perdersi perchè il bando potrebbe, su ricorso di chi ha un interesse legittimo e non è certo l’organizzazione di categoria, essere dichiarato illegittimo anche dopo il 23 marzo».
Tradotto in soldoni, Branda faceva presente a Granata che, così come impostato, il bando di gara sembrava studiato appositamente per favorire un’impresa. E non lo dice di sua iniziativa ma citando una precisa disposizione dell’Autorità di vigilanza, seguita peraltro dal Comune di Cosenza anche per bandi importanti come quello di piazza Fera.
Ma la gara interessava al marito del giudice della procura di Cosenza e al capo indiscusso dei servizi segreti in Italia e pertanto è stata lasciata in vita finché si poteva. Ora bisogna cacciare Granata dal Consorzio Valle Crati ed esiste già una richiesta della procura per l’interdittiva. Cosa dobbiamo attendere perché venga accolta?