di Francesco Verderami
Fonte: Corriere della Sera
La legislatura è ai titoli di coda e il capo dello Stato si prepara ad annunciarne la fine tra due settimane esatte, a cavallo tra Natale e Capodanno. L’ipotesi che va prendendo corpo infatti è che Mattarella sciolga le Camere il 27 dicembre, proiettando il Paese verso le urne, previste per il 4 marzo. Sebbene ieri il presidente della Repubblica abbia ricevuto al Colle Gentiloni per il rituale pranzo che precede i vertici europei, il tema non è stato oggetto di discussione. D’altronde non ce n’era bisogno: Quirinale e palazzo Chigi erano da tempo al lavoro e avevano già studiato le procedure per gestire l’appuntamento. L’idea di anticipare il termine della legislatura, che formalmente si concluderebbe in marzo, nasce dalla volontà di preservare il governo da qualsiasi intoppo parlamentare all’indomani dell’approvazione della legge di Stabilità. Gli ultimi sviluppi politici, la disaggregazione di gruppi della maggioranza, consigliano di muoversi con celerità pari alla prudenza, per evitare che l’esecutivo – per qualsiasi motivo — arrivi azzoppato alle elezioni. Deve piuttosto restare integro se — per qualsiasi motivo — ce ne sarà bisogno dopo le elezioni.
Perciò Gentiloni non salirà al Quirinale rassegnando il mandato, più semplicemente dichiarerà «esaurito» il suo compito. Non sarà una novità nella prassi, siccome esistono due precedenti, che non a caso sono stati esaminati: il governo Amato del 2001 e il governo Berlusconi del 2006. In entrambi i casi le Camere vennero sciolte con un breve anticipo senza che i presidenti del Consiglio dell’epoca si dimettessero. Così farà anche l’attuale premier, a cui Mattarella chiederà il «disbrigo degli affari correnti», formula che sembrerebbe limitare l’azione di Gentiloni. In realtà in passato, con lo stesso status, suoi predecessori presero decisioni importanti: come la concessione delle basi italiane per l’intervento in Kosovo nel 1998.