Dopo l’operazione di mercoledì, denominata Gramigna, in cui sono stati arrestati 37 esponenti del clan Casamonica, e che ha coinvolto anche due calabresi, nella giornata di ieri giovedì diversi uomini della forze dell’ordine sono stati impegnati nello sgombero di due stabili confiscati a San Nicola Arcella, occupati abusivamente dai familiari di un imprenditore considerato dagli inquirenti vicino ai Casamonica e in odor di ‘ndrangheta.
Si tratta dell’imprenditore calabrese Pasquale Capano, da anni residente a Roma, arrestato a gennaio 2014, al quale nell’ottobre del 2015 i militari delle Fiamme Gialle avevano sequestrato definitivamente un villaggio turistico a San Nicola Arcella. Il sequestro fa riferimento all’operazione “Hummer 2“, che portò a una confisca complessiva di 40 milioni di euro di beni. A Capano, tra le altre cose, vennero confiscati anche un centro sportivo con palestra e ristorante a Trigoria, una villa di lusso a Casal Palocco, due Ferrari, due Hummer e appartamenti a Mentana, Torrino, Vigna Murata e Castel Porziano.
Dal quadro accusatorio degli investigatori, l’uomo non solo sarebbe stato in affari con i Casamonica, con Luciano in particolare, ma anche con alcuni esponenti della Banda della Magliana e, sempre secondo le ricostruzioni della magistratura, avrebbe fatto anche da tramite negli affari tra i Casamonica e il clan Muto di Cetraro, il cui capo cosca e l’ereditiere, padre e figlio, Franco e Luigi Muto, si trovano ora rinchiusi al 41 bis dopo l’arresto avvenuto il 19 luglio 2016 nell’ambito dell’operazione Frontiera.
Più che un’ombra, quella dei Casamonica sul Tirreno cosentino, sembra una presenza affaristica continua e costante. Ad anticipare i rapporti tra la cosca cetrarese e i mafiosi di Ostia, ci aveva già pensato una inchiesta dell’Espresso di qualche anno fa, che in un passaggio, breve ma eloquente, aveva scritto a proposito dei Casamonica: «Sono buoni anche i rapporti con le cosche del cosentino, dove la famiglia romana voleva investire in società con l’imprenditore Pasquale Capano, mafio-massone legato al clan Muto, e arrestato a gennaio 2014».
A Roma Capano, nativo di Belvedere Marittimo, è stato capace di mettere in piedi un impero grazie ai suoi interessi immobiliari, la passione per le auto di lusso e per lo sport e il commercio. Le attività di indagine sono partite nel 2009, su delega della Procura generale di Catanzaro, e hanno interessato gli affari imprenditoriali compiuti dall’uomo e dai suoi congiunti dal 1987 ad oggi. Capano, nello specifico, dal 1999 al 2009 non ha dichiarato alcun reddito imponibile, mentre vanta diversi precedenti di polizia tra gli anni Ottanta e il 2010. Nella sentenza, i magistrati evidenziarono un giro di usura, gestito in particolare da Capano, con tassi di interesse pari al 10% mensile. Vittima, secondo la sentenza passata in giudicato, un imprenditore che all’epoca dei fatti versava in stato di bisogno. Inoltre, secondo la stessa sentenza, tutto sarebbe avvenuto “al fine di agevolare l’associazione mafiosa Muto, da cui provengono i capitali per i prestiti e a cui affluiscono, in parte, le restituzioni di capitali e interessi”.
Fonte: La Lince – La penna nella piaga