‘Ndrangheta, processo Aemilia. La Regione: “Nessuno si può più voltare dall’altra parte”

BOLOGNA – È di 125 condanne, 19 assoluzioni e quattro prescrizioni il verdetto pronunciato in Tribunale a Reggio Emilia dal collegio dei giudici presieduto da Francesco Maria Caruso (affiancato a latere da Cristina Beretti e Andrea Rat) che finisce di leggere la sentenza di primo grado per «Aemilia», il maggiore processo contro la ‘ndrangheta del nord Italia con 148 imputati alla sbarra. Al netto di alcune riduzioni di pena anche consistenti, (compensate però da condanne più pesanti rispetto a quanto chiesto dall’accusa per altre posizioni) è quindi pienamente conclamata l’esistenza di una ‘ndrina attiva da anni in Emilia e nel mantovano con epicentro a Reggio Emilia, diretta emanazione della cosca Grande Aracri di Cutro, ma autonoma e indipendente da essa.

La Regione: «Nessuno si può più voltare»

«Se in passato ci sono state sottovalutazioni o superficialità di analisi rispetto alla penetrazione delle mafie nel nostro territorio, adesso in Emilia-Romagna nessuno si volta più dall’altra parte, negandone il pericolo. Chi lo dovesse fare si renderebbe complice di una realtà che non è più negabile». Così l’assessore alla Legalità della Regione Emilia-Romagna, Massimo Mezzetti, commenta la condanna in primo grado inflitta a 125 dei 148 indagati al processo Aemilia. Mezzetti rivendica l’impegno della Regione in questi anni contro la mafia: dai progetti con le scuole al recupero dei beni confiscati; dalla white list delle aziende impegnate nella ricostruzione post-sisma al Testo unico per la legalità; dal sostegno anche economico per lo svolgimento del processo Aemilia a Bologna e Reggio Emilia fino alla costituzione di parte civile.

«Grazie agli inquirenti»

«La comunità regionale si è schierata senza se e senza ma con inquirenti, magistratura e agenti delle Forze dell’ordine- afferma l’assessore- impegnati nella battaglia per la legalità. Un fronte unito che va dalle istituzioni ai cittadini e che oggi, con la sentenza di primo grado, qui in Emilia-Romagna ha dimostrato tutta la sua grande forza, per un impegno che prosegue in nome dei valori, dei diritti e del civismo che contraddistinguono la nostra comunità». Mezzetti ci tiene anche a rivolgere «un plauso particolare al presidente del Tribunale e ai pm per la mole di lavoro svolto e per i tempi relativamente rapidi con cui si e’ arrivati a questa sentenza di primo grado». In aula a Reggio Emilia, alla lettura della sentenza, era presente per la Regione il sottosegretario Gianmaria Manghi.

Altre 24 condanne in abbreviato

Alle condanne comminate a 125 dei 148 imputati del processo Aemilia contro la ‘ndrangheta che sono stati giudicati in via ordinaria a Reggio Emilia, se ne aggiungono altre 24. Tanti infatti gli affiliati alla ‘ndrina emiliana, emanazione di quella cutrese legata alla famiglia Grande Aracri che, di fronte ai nuovi reati contestati loro dalla procura antimafia di Bologna (in sostanza l’appartenenza all’associazione di stampo mafioso e l’aver continuato ad agire per favorirla anche dopo gli arresti del gennaio 2015), hanno optato come nel loro diritto per il giudizio abbreviato. Un fatto che ha portato in sostanza ad uno sdoppiamento del processo reggiano e alla lettura di due sentenze separate (alcune posizioni compaiono in entrambe a seconda dei capi di imputazione per i quali hanno dovuto rispondere nell’uno o nell’altro rito).

Mano dura
Nicolino Sarcone

Proprio nell’abbreviato è calata la mano più pesante del collegio dei giudici presieduto da Francesco Maria Caruso (affiancato a latere da Cristina Beretti e Andrea Rat). Gianluigi Sarcone ad esempio, fratello del capo indiscusso in Emilia Nicolino, è stato condannato nel rito ordinario a tre anni e sei mesi, contro i 18 chiesti dalla Procura. Uno «sconto» di fatto compensato dalla condanna in abbreviato (16 anni e quattro mesi). Analogo discorso per un altro esponente di spicco della consorteria: Gianni Floro Vito. Per lui erano stati chiesti nel rito ordinario 12 anni, ed è stato condannato a sei, ma nel dispositivo dell’abbreviato è previsto che sconti 14 anni. È andata male invece all’imprenditore colluso Pasquale Brescia, che si e’ visto aumentare in sentenza le pene di entrambi i riti (sei anni in ordinario contro i quattro chiesti dai pm e 16 anni in abbreviato, quando la richiesta era di 14). Per Eugenio Sergio, parente della moglie del sindaco di Reggio Emilia Maria Sergio c’è una condanna a nove anni in ordinario (ne avevano chiesti 19) e 14 anni nell’abbreviato (come chiesto dalla Dda). Tra le condanne più severe quella di Michele Bolognino, capozona del parmense, che rimedia 20 anni nel rito ordinario e 17 in quello abbreviato. Per Alfonso Paolini, pierre della cosca grazie alle sue entrature nel mondo sportivo, giudicato solo in abbreviato le porte del carcere si aprono per 15 anni e otto mesi (la Procura ne chiedeva 16).

Gli imprenditori

Messi in ginocchio anche gli imprenditori emiliani collusi con la ‘ndrangheta: tra loro i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, condannati entrambi a quasi 30 anni (tra i due riti) e Omar Costi (13 anni e nove mesi). Nel rito ordinario e´ infine in evidenza la posizione di Karima Baachaoui, cittadina marocchina infatuata della malavita, oggi latitante, per cui la procura aveva chiesto 16 anni. La donna e’ stata condannata a 21 anni e 4 mesi, mentre il fratello Moncef Baachaoui a 19 anni di reclusione, contro i 17 che i Pm avevano richiesto.

Fonte: Corriere di Bologna