(DI SALVATORE CANNAVÒ – ilfattoquotidiano.it) – La missione negli Stati Uniti di Giorgia Meloni non costituisce una svolta per la politica italiana, ma colpisce per l’adesione acritica di chi ha costruito la propria fortuna con la retorica dell’interesse nazionale e della sovranità da proteggere. La genuflessione a Joe Biden, alla Nato, ai rapporti commerciali con gli Usa è invece un dato profondo rintracciabile nel lungo documento congiunto (Joint statement) che la Casa Bianca ha rilasciato dopo l’incontro.Sono ribaditi ovviamente i legami profondi, “l’alleanza incrollabile” anche al di là delle collocazioni progressiste e conservatrici, come ha sottolineato Meloni nella conferenza stampa conclusiva. Ma tutto questo assume un ruolo specifico oggi nel contesto di guerra.
Gendarme Nato. Non è un caso che il comunicato congiunto parta dalla Nato e dalla “capacità unica dell’Alleanza di adattare la sua deterrenza e posizione di difesa per affrontare le sfide provenienti da tutte le direzioni strategiche, compreso il fianco meridionale”. La convergenza non è soltanto sulla difesa dell’Ucraina, ormai scontata, ma sulla strategia di gendarme complessivo della Nato, che deve “affrontare le conseguenze globali del conflitto, in particolare sulla stabilità, l’energia e la sicurezza alimentare”. La centralità della guerra ucraina nell’incontro è sottolineato dalla presenza, nella delegazione Usa, di Victoria Nuland, oggi sottosegretario agli Affari politici, ma nota soprattutto per il ruolo attivo nella crisi ucraina del 2014, quando veniva intercettata al telefono esclamando “Fuck off Europe”. In serata, ieri, Meloni fa sapere di aver avuto un lungo colloquio con Henry Kissinger “una delle menti più lucide, punto di riferimento della politica strategica e della diplomazia” e che però non ha fatto mancare critiche alla strategia sull’Ucraina. Dal documento comune si capisce che gli Stati Uniti daranno molta importanza alla ricostruzione dell’Ucraina affidandosi al “ruolo che l’Italia svolgerà in questo sforzo, con la presidenza italiana del G7 nel 2024 e l’ospitalità della Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina nel 2025”.
Tutti in Africa. Ma è anche importante la nuova centralità assegnata all’Africa e al Mediterraneo, terreni cari a Meloni e al suo “piano Mattei”. Gli Stati Uniti, nel documento Us Strategy towards Sub-saharian Africa, documento strategico del 2022, ritengono che “l’Africa subsahariana è fondamentale per far avanzare le nostre priorità globali”. L’Italia può svolgere una funzione molto utile, si legge nella dichiarazione comune, “per promuovere la stabilità e la prosperità nella più ampia regione del Mediterraneo, anche affrontando le cause profonde dell’instabilità, del terrorismo e dei flussi migratori irregolari”. Un lavoro difficile che gli Usa scaricano sul fedele alleato al pari dei Balcani dove all’Italia si assegna il lavoro delle “missioni Kfor, Eulex ed Eufor Althea”.
Sindrome cinese. Il testo non dice nulla sul Memorandum of Understanding del 2019 relativo alla Via della Seta e del resto era sciocco attendersi un intervento diretto. “Se pensate che gli Usa adottino questo approccio vi sbagliate”, ha detto Meloni in conferenza stampa. L’Italia probabilmente lascerà scadere nel 2014 il MoU e cercherà, anche con il possibile viaggio a Pechino ipotizzato dalla premier, di limitare i danni di quella scelta. Ieri il quotidiano Global Times, voce del Pc cinese, ha sottolineato che l’Italia sta “facendo dei calcoli sbagliati” sulla rottura del Memorandum e sottolinea i tanti vantaggi reciproci che il rapporto italo-cinese ha comportato.
Ma agli Stati Uniti, si legge nel Joint statement, importa che ci sia una “accresciuta presenza italiana nella regione” – ad aprile la Nave Morosini si è mossa verso il Giappone – e si ribadisce “l’importanza vitale del mantenimento della pace e della stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan”.
Verso il G7. Il vertice è servito anche per fissare le priorità del prossimo G7 del 2024 a presidenza italiana e a stabilirne l’agenda – non solo crisi climatica o migrazioni, ma anche “l’approvvigionamento di minerali critici” – con un rinnovato impegno a sostenere “le banche multilaterali di sviluppo” già oggetto dell’ultimo G7 in Giappone, progetto caro agli Usa. I quali hanno accolto con favore l’intenzione italiana di far parte del direttivo del Blue Dot Network, un comitato d’élite che certifica la qualità di grandi progetti infrastrutturali e di cui fanno parte Australia, Giappone, Gran Bretagna e Spagna oltre agli Usa. In cambio viene ribadito il pieno sostegno alla candidatura italiana per l’Expo 2030.
Affari loro. Per quanto riguarda il commercio, l’insistenza sia nello speech di Biden sia nel testo comune, sull’importanza degli scambi commerciali bilaterali, pari a 117 miliardi di dollari nel 2022, indica la pressione statunitense affinché l’Italia non si faccia trascinare in possibili contrapposizioni tra Ue e Usa specie dopo il varo del piano di aiuti alle imprese (Ire) deciso da Washington per facilitare la transizione ecologica e che in Europa viene visto come concorrenza sleale. Anche su questo punto non si è sentita una posizione esplicita di Meloni.
L’influenza nordamericana, infine, è così forte che, mentre in Italia Meloni e i suoi uomini accarezzano in vari modi la negazione dei problemi climatici, nel testo congiunto si afferma che i due Paesi sono d’accordo “a intraprendere azioni decisive in questo decennio per mantenere l’obiettivo comune di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi Celsius”.
Se lo chiedono gli Usa si può fare.