Cosenza, affare Tesi: Vigna e Spataro limitano i danni e salvano i “pezzi grossi”

La Corte d’appello di Catanzaro ha sancito il 22 marzo scorso una serie di rideterminazioni delle pene nella sua decisione sulla sentenza di primo grado del Tribunale di Cosenza in merito al processo Tesi. Conseguenze di questa nuova sentenza sono state le dimissioni di Luciano Vigna da assessore al Bilancio del Comune di Cosenza e la sospensione ai sensi della legge Severino per l’altro assessore cosentino Michelangelo Spataro, che non si sarebbe dimesso neanche sotto minaccia di una “pistola”.

Filomeno Pometti, Michelangelo Spataro (attuale assessore “sospeso” al Comune di Cosenza), Francesco Capocasale, Michele Montagnese, Ginaluca Bilotta e Luigi Vacca si vedono ridurre la pena da 4 anni a 2 anni e 4 mesi; riduzione della pena anche per Luciano Vigna (assessore dimissionario al Bilancio del Comune di Cosenza), Antonio Gargano e Antonio Viapiana, che passano da 2 anni e 8 mesi a 2 anni e 2 mesi di reclusione. In più c’è la revoca dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata dei cinque anni a Pometti, Spataro, Capocasale, Montagnese, Bilotta e Vacca. Questo significa che né Vigna e né Spataro perderanno il loro incarico a Palazzo dei Bruzi.

L’affare Tesi, del resto, era una “pappatoia delle larghe intese” e ci si erano strafocati centrosinistra e centrodestra tutti insieme appassionatamente anche se facevano finta di litigare. Una storia che, se dev’essere raccontata, va chiarita in ogni suo aspetto. Ed è quello che facciamo.

Poco meno di due anni fa il Tribunale di Cosenza aveva inflitto nove condanne e deciso sette assoluzioni per la sentenza di primo grado del processo “Tesi”. L’inchiesta riguardava i rapporti tra la società “Tesi”, operante nel settore dell’informatica, e Fincalabra, la finanziaria della Regione Calabria.

Negli anni scorsi il filone dell’indagine era stato stralciato dall’inchiesta Why Not e inviato al Tribunale di Cosenza perché competente per territorio.

Il collegio (presieduto dal giudice Angela Lucia Marletta, a latere Claudia Pingitore e Giusi Ianni) aveva condannato per bancarotta fraudolenta Filomeno Pometti (4 anni di carcere), Luciano Vigna, allora vicesindaco di Cosenza (2 anni e 8 mesi), Michelangelo Spataro, allora consigliere comunale di Cosenza (4 anni), Francesco Capocasale (4 anni), Michele Montagnese (4 anni), Gianluca Bilotta (4 anni), Luigi Vacca (4 anni), Antonio Gargano (2 anni e 8 mesi) e Antonio Viapiana (2 anni e 8 mesi).

Pometti, Vigna, Spataro, Capocasale, Montagnese, Bilotta, Vacca, Gargano e Viapiana erano stati condannati anche all’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e all’incapacità di esercitare uffici direttivi per la durata di dieci anni.

Pometti, Spataro, Capocasale, Montagnese, Bilotta e Vacca erano stati, inoltre, interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Questo non significava però che Spataro non potesse ricandidarsi e infatti non solo si è ricandidato ma è stato eletto ed è diventato assessore nel primo rimpasto della Giunta del cazzaro. “Il mio reato – scriveva in una nota – non rientra nella legge Severino ed inoltre l’interdizione si attua a sentenza definitiva, almeno consentitemi questo dopo questa delusione nei confronti della magistratura. Credo di averne diritto atteso che i dipendenti di Tesi mi conoscono molto bene e sanno a chi attribuire eventuali colpe…”.

Occhiuto e Spataro
Occhiuto e Spataro

Il Tribunale aveva, invece, già assolto l’ex sindaco Salvatore Perugini, Nicola Costantino, Renato Pastore, Saverio Fascì, Francesca Gaudenzi, Pietro Macrì e Pasquale Citrigno (amministratore della società) assolto per non aver commesso il fatto. Citrigno era l’unico per il quale già il pm Giuseppe Visconti aveva chiesto l’assoluzione. Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di bancarotta.

In Calabria, come tutti sappiamo, nulla è come appare. E se all’epoca della sentenza, un anno fa, apparentemente, la “notizia” sembrava essere quella della condanna del vicesindaco di Cosenza e di un consigliere comunale, entrambi molto vicini a Mario Occhiuto, la verità è che Vigna e Spataro con questa vicenda non c’entrano assolutamente nulla. Erano solo dei prestanome dentro il “business”, messi lì da paravento esattamente per quello che servivano. Vigna in quota Morelli e Alleanza Nazionale, Spataro in quota Udc e Cesa, asse trasversale con Madame Fifì. Tanto si è sempre saputo che destra e sinistra facevano solo finta di litigare e mangiavano insieme. 

Avranno anche incassato qualche favore e qualche privilegio (in particolare i soldi previsti per il loro “lavoro” nel Consiglio d’Amministrazione), ma in Tesi sono stati inseriti soprattutto per prendersi le (eventuali) condanne che hanno puntualmente preso. Almeno in prima istanza. Ma le hanno prese in nome e per conto di chi ha vergognosamente saccheggiato l’informatica calabrese.

Poiché è giusto che la gente sia informata, ripubblichiamo anche oggi la verità su questa storia.

L’AFFARE TESI

Siamo nel 1994. Tesi viene tirata su con il supporto degli enti pubblici e di una serie di aziende private che hanno garantito ai lavoratori commesse vitali. Tra esse la fetta maggiore la occupava Ised, società informatica romana, allora guidata da Alleanza Nazionale. Nonostante il massiccio ricorso alla politica tuttavia Tesi non decolla. Tutt’altro. Nel 1996 sono in tanti ad accorrere al suo capezzale. La Regione vara addirittura un’apposita legge, la numero 14 del 17 giugno 1996, per la costituzione di una nuova società mista pubblico-privata, appunto la Tesi Spa.

In essa si leggeva testualmente che “la Regione Calabria è autorizzata a partecipare, per il tramite della Fincalabra, alla costituzione della Tesi Spa” e che “la Fincalabra è autorizzata a sottoscrivere quote di capitale sociale in misura non superiore al 30%”. Questo significava che si potevano ricevere commesse senza partecipare alle gare. L’ideale per rastrellare finanziamenti pubblici senza colpo ferire… 
La navigazione non è esaltante ma quantomeno si galleggia. Poi nel 1999, con Giambattista Papello nel ruolo di presidente di Tesi, arrivano 7 milioni di euro di commesse grazie ai progetti Ncc 17 e 18 per il censimento dei siti da bonificare. Una buona boccata d’ossigeno che però non risolve i problemi.

La situazione precipita nel 2001, quando entra in scena Antonio Gargano, presidente di Fincalabra. La sua gestione fino al 2004 viene definita disastrosa, al limite del saccheggio, nonostante abbia assorbito una enorme quantità di risorse pubbliche. Gargano promette a più riprese un piano di rilancio che non arriva mai e induce il presidente di Tesi, Rinaldo Scopelliti a intraprendere un’azione di responsabilità contro gli amministratori per le gravi irregolarità riscontrate.

Franco Morelli
Franco Morelli

Il referente politico di Gargano è Franco Morelli, di Alleanza Nazionale, direttore generale del Settore Obiettivi Strategici e capo di gabinetto del presidente della Giunta regionale Giuseppe Chiaravalloti. Nel Consiglio dì amministrazione di Tesi sono presenti praticamente tutti i partiti dell’arco politico. Sarà forse per questo che qualcuno riesce a “truccare” i bilanci?

Fatto sta che Tesi ha debiti per quasi 2 milioni di euro ma il pesante passivo viene mascherato iscrivendo in bilancio un ricavo di 1 milione e 200 mila euro, giustificandolo come improbabile risparmio sulle imposte degli anni successivi. E le perdite? Appena 164 mila euro!

La verità chiaramente è ben altra. Al 31 dicembre 2004 le passività si attestano sui 2 milioni 300 mila euro e si raddoppieranno alla fine del 2005. Quanto basta per chiedere l’intervento della Corte dei Conti. Ma tutto viene tacitato, anche se nel frattempo a Chiaravalloti è subentrato Loiero… Ecco perché in molti definiscono Tesi una sorta di Commissione bicamerale degli affari!!!

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Il 15 settembre 2004 torna prepotentemente in scena Enza Bruno Bossio, a meno di due anni dal disastro finale del Piano Telematico. La moglie di Adamo, insieme al deus ex machina della Compagnia delle opere calabrese nonché re indiscusso del lavoro interinale, Antonio Saladino, con la complicità di tutta la politica calabrese, si inventa il Consorzio Clic (Consorzio lavoratori informatici calabresi), del quale è lei stessa presidente, che riunisce le società informatiche più rappresentative per dimensione e fatturato. Dalla Cm Sistemi Sud all’Abramotel, dalla Ifm alla Met Sviluppo, dalla Sirfin alla Why Not.

Ed entra nella compagine societaria di Tesi Spa, controllandola “di fatto” grazie a un “patto parasociale” con la Fincalabra che consente al Consorzio Clic di assumere il 42% del pacchetto azionario. L’operazione è chiaramente illegittima e irregolare, poiché si svolge nel più totale spregio della formale proprietà della maggioranza assoluta delle azioni in capo alla componente pubblica. Ma non solo: l’ingresso del Consorzio Clic si è realizzato attraverso una serie impressionante di artifici e raggiri. Questo “Clic” infatti non è mai stato selezionato, perché ancora non era formalmente costituito, mediante la procedura di evidenza pubblica di individuazione del socio privato, indetta nel luglio 2003, quando ancora la Bruno Bossio e Saladino non avevano messo nero su bianco la “megagalattica” idea… E’ chiaro che la moglie di Adamo e l’imprenditore avevano potuto contare su una fitta rete di complicità. Nella quale spiccano per importanza nientepopodimeno che Giuseppe Chiaravalloti, Agazio Loiero, Pino Gentile e Nicola Adamo. Tutti e quattro sono referenti politici di prim’ordine ma Chiaravalloti e Loiero sono anche azionisti di riferimento della Fincalabra…

Agazio Loiero
Agazio Loiero

L’obiettivo principale di “Clic” è quello di risanare la moribonda Tesi. Servono soldi. E subito. La chiave naturalmente è sempre Fincalabra. Antonio Gargano allora estrae dal suo cilindro magico un prestito di circa 3 milioni 600 mila euro e, dopo aver lasciato Fincalabra, assume la presidenza di Tesi. Alla fine stila tre contratti. Uno riguarda la cessione del credito: Tesi deve pagare Fincalabra e questa cede il suo credito a “Clic”, che così rileva un credito e non un debito. Il Consorzio restituirà i soldi a Fincalabra solo nel caso dovesse avere utili. Un “giro” a dir poco vorticoso… La magistratura non ha potuto dirci se “Clic” ha restituito i soldi o meno e se ha attivato commesse o meno.

Noi però possiamo affermare con sicurezza che Tesi non è stata mai pensata come un’azienda in grado di stare sul mercato. Doveva solo transitare soldi, destinati ad altri tipi di investimento, che avevano certamente un costo più alto del mercato. E’ per questo che si è creato un “buco” clamoroso che ha portato al fallimento. Tesi è stata allora un carrozzone, un pozzo senza fondo. Più che effettuare attività si drenavano risorse per pagare i dipendenti e i componenti del Cda ovvero i gestori delle società.

Per l’ ingresso di “Clic” in Tesi non è stato mai redatto un piano industriale credibile né tantomeno una sia pur minima organizzazione del lavoro. Il criterio per il quale dovevano arrivare le commesse, incredibile ma vero, era la “benevolenza”. Ma non solo: se davvero si voleva risanare Tesi, perché non la si faceva partecipare a tutti i bandi di gara? Il sospetto è che non si volessero disturbare le altre aziende, sempre interne a “Clic”, che avevano bisogno di vincere le loro brave gare… E allora Tesi avrebbe potuto funzionare come “copertura” per le società della Bruno Bossio, di Saladino e dei loro amici. La logica? Quella del “cartello”. Ogni azienda partecipava al Consorzio pensando di prendersi i soldi e soffiandoli agli altri concorrenti. Chissà che fine hanno fatto i soldi…

Qualcuno continua a dire che sono finiti in un “clic”.

Mentre quelli che sono stati condannati hanno pagato per colpe evidentemente non loro. Ma le riduzione di pena di oggi e la revoca dell’interdizione dai pubblici uffici significano chiaramente che gli imputati – anche se dovessero prendere una condanna definitiva in Cassazione – non avranno nessun tipo di ripercussione.