Alessandro Bozzo day: “Libertà vo cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”

Stasera al Teatro dell’Acquario amici, amiche, colleghi e colleghe di Alessandro Bozzo ricorderanno il giornalista cosentino in una serata particolare, nel corso della quale sarà presentato il romanzo di Lucio Luca ispirato alla vita di Alessandro e intitolato “L’altro giorno ho fatto quarant’anni”. Non è la prima opera che viene dedicata ad Alessandro Bozzo. Qualche anno fa l’editore Pellegrini pubblicò “Sacro Fuoco: storie di libertà di stampa”, a cura di Tommaso Scicchitano, all’interno del quale undici giornalisti hanno dedicato il loro “pezzo” alla memoria di Alessandro. Questo il mio contributo. 

“Libertà vo cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta”

di Gabriele Carchidi 

Il  tema della libertà attraversa tutta la storia del pensiero dell’uomo. La difficoltà del vivere liberamente dipende dalla capacità di decidere cosa è bene e cosa è male. La questione dunque è il discernimento. La citazione è di Dante Alighieri. Divina Commedia. Siamo agli inizi del XIII secolo. Chi pronuncia quella frase è Catone l’Uticense, I secolo avanti Cristo. Si uccide.

Dante lo mette nell’Inferno, ma a custodire le porte del Purgatorio. Si uccide per non perdere la sua libertà, e perché non cessasse la libertà del Senato romano. E’ quasi salvo. Catone è messo a guardia del Purgatorio nonostante si sia suicidato. Il motivo è comprensibile: si è suicidato non per motivi egoistici, ma per ribadire il valore della libertà.

Alessandro Bozzo non ce l’ha fatta a continuare a protestare contro un sistema marcio ed infame che permette ai Sansonetti e ai Regolo (che adesso passa pure per uomo coraggioso, sic!) di sguazzare e di fare soldi a palate e a quelli come noi di essere fatti a pezzettini.

Sono sempre i più sensibili che se ne vanno, spremuti come limoni, annullati nella loro dignità di uomini e donne e “derubati” della loro vita privata, schiacciati da un sistema spietato e schifoso nel quale o ti adegui alle voci dei padroni o ti fanno fuori.

Al nobile Antonino Catera del Quotidiano della Calabria non ha retto il cuore, Bozzo, che era decisamente più prosaico, non gliel’ha data vinta e si è chiamato fuori in maniera eclatante: l’ha deciso lui! Alessandro ha vissuto dieci anni nelle redazioni de La Provincia cosentina e di Calabria Ora. Con lui ho condiviso quasi un anno della fondazione del secondo giornale di Pierino Citrigno.

Citrigno

Giornalisti trattati come pacchi postali, “trasferiti”, “dimissionati”, licenziati, usati solo e soltanto per diffondere le veline e le notizie funzionali a un editore condannato per usura e a caccia di “convenzioni” dalla politica, a un altro che predica legalità e fa nascere centri stampa “taroccati” grazie sempre ai finanziamenti della politica e a un altro ancora che, nel mentre sogna di realizzare un ponte, mangia miliardi allo stato…Nella nostra Casta solo una piccola parte detiene il potere all’interno dell’Ordine. Sarebbe interessante condurre un’inchiesta sui giornali fantasma calabresi che percepiscono centinaia di migliaia di euro attraverso il potere politico. E su tutti quegli incarichi e quelle consulenze, naturalmente sempre alimentate dai politici con le mani in pasta, distribuite sempre agli stessi personaggi “amici degli amici”. Organizzano convegni sul precariato e i loro figli hanno il sedere sulle poltrone della Rai…

Il trattamento riservato ad Alessandro Bozzo dal suo editore Pierino Citrigno ce lo ha descritto lui stesso attraverso le testimonianze dei suoi colleghi. E lo ha scritto persino il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino.

Enzo Iacopino

“… Resta, innegabile, il fatto che nel marzo 2012 gli fu proposto un contratto a termine di 9 mesi, dopo quello ben più rassicurante che aveva, che accettò per amore della sua famiglia. Resta che gli venne chiesto di trasferirsi a Rossano Calabro lasciando a Cosenza moglie e figlia. Resta che questo proposito rientrò e che aveva un contratto a termine di due anni…”.

Ci viene chiesto di scrivere di storie di libertà di stampa negate.

Tamara Ferrari qualche tempo fa ha scritto: “… Mi scorrevano davanti le immagini dei vecchi tempi alla Provincia Cosentina, e i sogni di noi, così giovani, tutti presi a rincorrere il sogno di diventare giornalisti. E le mille difficoltà, e Pierino Citrigno-un nome un programma, e i nostri stipendi dimezzati-distorti-tagliati, e i pezzi politici “dettati”… le nostre incazzature e i tanti silenzi, quei silenzi asfissianti di chi non ha mai avuto il coraggio di alzare la testa e ribellarsi…”.

Ci sono mille storie di libertà di stampa negata che si potrebbero raccontare. Ma per rimanere a Citrigno, chi di noi potrà dimenticare la fatidica frase: “mu fa vida su testu…?”.

Così, tanto per cominciare.

Più che negare libertà (perché tanto nessuno neanche osava), assegnava i pezzi e sceglieva i “killer”. E nella sua “mitica” stanza aveva dossier su tutti i politici.

Amici e non… non si sa mai nella vita… Oggi toccava a Roberto Occhiuto, per la storia dei portaborse. Burc (Bollettino Ufficiale Regione Calabria), qualche pezza d’appoggio e vai con la mitragliatrice. Sì, perché “don Pierino” sosteneva che io al posto della tastiera avessi quell’arma lì.

Domani invece era il turno del suo rivale storico Ennio Morrone per come gestiva l’Assessorato regionale al Personale. Dopodomani e gli altri giorni invece a tutti quelli che, con un giornale in rampa di lancio, si possono e si devono strapazzare per ottenere consensi e copie vendute. Mario Pirillo, Gino Trematerra, Sandro Principe…

Tanto per far vedere che siamo un giornale “libero”!

Ma quando arrivavi ai Gentile, la ruota magicamente si fermava. Ci poteva essere la tentazione, finanche il rito della consegna dei documenti, ma poi, quando vedeva la notizia sul giornale, sulla pagina, si fermava. Non se la sentiva o magari aveva già deciso di stringere un patto. E quella notizia, quella che avrebbe trattato compa’ Pinuzzu o compa’ Tonino alla stregua degli altri, non sarà mai pubblicata.

I tempi degli attacchi frontali erano ancora decisamente lontani.

E i Gentile chiamavano direttamente Pierino per disporre censure oppure ordinare “scoop” contro qualcuno.

Quanto a Nicola Adamo e a sua moglie Enza, tutti sapevano che non si potevano toccare, neanche se ne poteva uscire fuori un titolo da farti vendere diecimila copie in una volta sola. Quel titolo l’aveva portato Gaetano, il fratello di uno che conta, ma fu cortesemente rifiutato. Si chiamava linea editoriale, per quel che poteva valere.De Magistris ovviamente era il nemico pubblico numero uno.

Ma per questi lavori c’era Pollichieni, il Bomber, legato a doppio filo a Marco Minniti, il vero direttore del giornale già dalla sua fondazione. Quello che firmava ci stava solo per coprirlo, non contava un cazzo, esattamente come tutti noi.

Imbarazzante quando usò il giornale per far sapere all’attuale sindaco di Napoli che la “finanza” aveva sequestrato una montagna di soldi a un imprenditore, un certo Mercuri.

De Magistris aveva ordinato una serie di perquisizioni e non aveva trovato nulla. La Finanza invece aveva beccato alla frontiera Mercuri e aveva tirato fuori 3 milioni e mezzo dai bagagli in una perquisizione definita casuale.

De Magistris, in effetti, di quel fortunatissimo controllo alla frontiera non sa nulla – scive Gianni Barbacetto nel suo “Il superclan dei calabresi” -. Lo verrà a sapere solo qualche settimana dopo, quando un quotidiano, Calabria Ora, pubblica un informatissimo articolo firmato da Paolo Pollichieni, che non solo racconta dei soldi trovati nel borsone ai Mercuri, ma li mette anche in connessione con l’indagine di Catanzaro. Eppure non c’era, fino a quel momento, alcuna connessione…”.

Della serie: facciamo i controlli a nome tuo ma tu non lo sai!

Sono andato via dopo tre mesi esatti da quella vergogna professionale: non concepivo che un “direttore” potesse tollerare quello che accadeva in quella redazione e abbassasse continuamente la testa.

Era inevitabile che Pollichieni prendesse in mano ufficialmente il timone del giornale (accadde otto mesi dopo la mia fuoriuscita) per lasciarlo quando Pierino si era rotto i coglioni della sua linea aggressiva nei confronti del “fascio” Scopelliti.

Sono stato designato più volte da Citrigno e ho “sparato” professionalmente tutte le volte che me l’ha chiesto.

Nell’ultima campagna elettorale cosentina (2011) mi ha chiamato nelle fasi conclusive del duello tra Occhiuto e Paolini per “smontare” l’avvocato. Non voleva che vincesse perché non gli è mai stato simpatico e perché spesso e volentieri gli aveva aizzato contro il vecchio Giacomo Mancini. Una volta gli aveva persino demolito due piani di un palazzo all’ingresso dell’autostrada. E se l’era legata al dito.

Don Pierino ha sempre sofferto quando Mancini non gli dava la sua confidenza o lo osteggiava e non me lo ricordo mai così felice quando il “vecchio” aveva scelto la sua televisione per veicolare la propaganda elettorale alla fine degli anni Novanta.

Enzo Paolini e Mario Occhiuto

Ma con Paolini non è mai andato di pelo. E così aveva deciso che per il gran finale della campagna elettorale gli serviva qualche pezzo “mirato”. Di quelli scritti con la mitragliatrice.

Ma il compito più importante che mi aveva affidato non ha mai visto la luce.

Cercava di dimostrare che un giornale aveva giocato sporco per ottenere finanziamenti. Aveva raccolto documentazioni, comunicazioni di un municipio, autocertificazioni fasulle, copie di bonifici incassati. Sembrava davvero malintenzionato ma sarà subentrato anche lì qualche patto in extremis. Di conseguenza, la mia collaborazione esterna poteva ritenersi conclusa. Perché farmi entrare “dentro” poteva essere decisamente pericoloso per la stabilità dei suoi giornalisti.

Camillo Giuliani ricorda che il giorno in cui Bozzo se n’è andato, in redazione si ripeteva come un mantra «dobbiamo fare il giornale perché Ale avrebbe voluto così». Col cazzo! Alessandro gli avrebbe dato fuoco al giornale. Di notte, perché prima di quell’ora c’era dentro gente a cui voleva bene. Pochi giorni fa cenavamo assieme, progettando attentati a una redazione che ci divorava l’anima. Nessuno di noi due crede in Dio, ma se ci sbagliassimo sono certo che all’inferno troverò un compagno fantastico per passare l’eternità. Ci metteremo in alto a fumarci una canna e sputeremo su chi sta sotto: amebe, strozzini e tutta quella gente che disprezzavi e in questi due giorni si è riempita la bocca di parole su di te e il vostro grande rapporto».

Anch’io, come Alessandro e Camillo, sono antiproibizionista e il ricordo più vivo che ho di Alessandro Bozzo, in un periodo brillante della sua vita, era la sua felicità nel farci vedere (e provare) le sue produzioni.

Alessandro e Camillo, sono pronto a venire con voi all’inferno!