All Black. Traffico di rifiuti e riciclaggio: coinvolto ingegnere cosentino accusato di far parte di una loggia coperta

Rifiuti pericolosi provenienti dalla Campania e tombati in terreni, capannoni e cave in disuso nel Salento e poi dati alle fiamme. Tredici le persone arrestate nell’ambito dell’operazione All Black condotta dai carabinieri del Noe e dai i finanzieri del comando provinciale della guardia di finanza di Taranto, coordinati dalle Direzione distrettuale antimafia di Lecce 

I rifiuti, provenienti dalla Campania, sarebbero stati diretti per lo sversamento nelle province di Lecce e Taranto, dove venivano smaltiti attraverso lo sversamento sul suolo o il tombamento all’interno di terreni agricoli, di capannoni industriali in disuso, che poi venivano dati alle fiamme, oppure di cave dismesse. In questo modo avrebbero fatto sparire rifiuti per un totale di quasi 600 tonnellate. Sono altresì in corso sequestri per diverse centinaia di migliaia di euro.

Tra gli arrestati figura un cosentino, l’ingegnere Salvatore Coscarella, di 76 anni, già salito alla ribalta delle cronache negli anni scorsi per diverse inchieste. Coscarella, per esempio, viene indicato dal pentito Cosimo Virgiglio nell’ordinanza di “Rinascita Scott”, come uno degli affiliati alla loggia coperta della quale fanno parte anche il magistrato Chiaravalloti, l’avvocato Pittelli e il politico Pino Gentile. Ma Coscarella era finito anche nelle rivelazioni di un altro pentito, Franco Pino, il quale lo definiva come “persona a lui vicina” per una vicenda di appalti e tangenti in Romania, nella quale – secondo il pentito – era coinvolto l’ex deputato Amedeo Matacena. Ora, a distanza di anni, il suo nome figura anche in questa vicenda di rifiuti per la quale è stato arrestato. Di seguito, il passaggio dell’ordinanza di Rinascita Scott nel quale il pentito Virgiglio cita Coscarella. 

L’ORIGINE DELLE INDAGINI SU RIFIUTI E RICICLAGGIO

L’indagine deriva dalla riunione di due distinte attività investigative seguite dei carabinieri del Noe di Torino e Lecce e dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria di Taranto, che pur partendo da presupposti diversi, convergevano su alcuni indagati

L’attività investigativa dei carabinieri del Noe ha avuto origine nel maggio 2018 a seguito del sequestro di un autotreno, che aveva effettuato uno scarico illecito di rifiuti nella campagna di Lombardore (Torino), operato dai carabinieri della stazione di Leino e dei Forestali di Torino, a cui si affiancavano, da ottobre 2018, i militari del Noe di Torino per lo svolgimento dei conseguenti approfondimenti investigativi.

IL FILONE SALENTINO E LA SCISSIONE DAI BROKER PIEMONTESI

Veniva così individuato un gruppo di faccendieri di Lecce e Taranto i quali – ognuno con un proprio ruolo e creando società fittizie dotate di false autorizzazioni – offrivano siti inesistenti per lo smaltimento di rifiuti per il tramite di una società di intermediazione di rifiuti piemontese, non iscritta all’albo gestori rifiuti. E tutto per fare confluire in alcune località del Leccese e del Tarantino ingenti quantitativi di rifiuti, provenienti da aziende attive nel loro trattamento situante in provinca di Torino e Brescia.

Le difficoltà organizzative e i rischi nel far affrontare cosi lunghi viaggi a rifiuti in una situazione di completa illegalità, facevano insorgere dei contrasti tra gli organizzatori, determinando pertanto la “scissione” del gruppo pugliese dai “broker” piemontesi. Compagine pugliese che si organizzava per creare un’altra direttrice di traffico, reperendo con successo produttori di rifiuti nell’area ben più accessibile del Casertano e del Reggino, poi sequestrati nelle campagne di Lecce e Surbo.

L’indagine dei carabinieri si è qui sovrapposta ad una parallela attività dei finanzieri di Taranto e così, per competenza territoriale, gli atti sul traffico pugliese sono stati trasmessi alla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, la quale aveva già in corso altre attività investigative, che avevano permesso di far emergere un ingente traffico illecito di rifiuti perpetrato, in modo sistemico, da un gruppo criminoso operante nel territorio jonico. Detto sodalizio era dedito alla commissione di plurime attività organizzate finalizzate al traffico illecito di rifiuti e di falsi in autorizzazioni amministrative, che veniva attuato mediante la predisposizione di mendaci autorizzazioni ambientali, che attestavano in capo a società di comodo la disponibilità di impianti autorizzati per il trattamento dei rifiuti ovvero di siti abilitati allo stoccaggio degli stessi.

Le indagini hanno permesso di ricostruire molteplici operazioni illecite di movimentazione di ingenti quantità di rifiuti, urbani ed industriali, anche di tipo pericoloso, aventi origine prevalentemente dalla Campania e dirette per lo sversamento in Puglia, specialmente nelle località in provincia di Lecce e Taranto, che venivano smaltiti o previo sversamento sul suolo con successivo “tombamento”, ovvero abbandonati all’intemo di capannoni industriali in disuso e successivamente dati alle fiamme.

DANNI AMBIENTALI E CONCORRENZA SLEALE

Un traffico illecito dai connotati complessi, che si sono manifestati attraverso dinamiche soggettive articolate, coinvolgendo una pluralità di soggetti produttori, trasportatori, intermediari, riceventi, deputati allo scarico e alla ricerca dei siti ove “tombare” i rifiuti, che hanno fornito, ognuno per la loro parte, forme diverse di contributo, anche di natura tecnica. L’attività svolta ha chiaramente documentato come lo smaltimento illecito di rifiuti abbia generato un danno ambientale di rilevanti proporzioni, essendo state illecitamente smaltite più di 600 tonnellate di rifiuti speciali, anche di tipo pericoloso, generando, altresì, una concorrenza sleale le aziende produttrici del medesimo rifiuto.

I motivi che hanno spinto gli indagati ad organizzare un traffico illecito di rifiuti diretto al territorio pugliese sono da ricollegare alla convergenza di diversi fattori. In primis la centralità di uno dei soggetti indagati, che poteva vantare numerosi contatti con imprese produttrici di rifiuti anche pericolosi che, alla luce delle contingenti difficoltà ad utilizzare il mercato di sbocco privilegiato cine, avevano necessità di reperire siti di smaltimento sul territorio nazionale

In secondo luogo, la breve distanza, in termini geografici, tra le aziende produttrici e la destinazione dei rifiuti, che aveva permesso al sodalizio di raggiungere due importanti obiettivi: contenere i costi di trasporto ed esporre compiacenti autotrasportatori a minor rischio di controllo da parte delle Forze di Polizia lungo il tragitto.

SMALTITE QUASI 600 TONNELLATE, TRA QUESTE 142 DI RIFIUTI PERICOLOSI

Complessivamente sono stati individuati e documentati 28 conferimenti illeciti, per un totale complessive di più di 600 tonnellate ,di cui almeno 142 tonnellate classificate come rifiuti pericolosi. Nel corso delle indagini sono stati eseguiti, nella flagranza del reato, sei sequestri di rifiuti, in procinto di essere sversati in capannoni e cave ubicate nelle province di Taranto e Lecce oltre alla ricostruzione documentale di numerosissimi sversamenti effettuati attraverso la falsificazione dei relativi FIR nonché la clonazione di autorizzazioni amministrative.

Per quanto riguarda l’origine dei rifiuti (plastiche, gomme, ingombranti, guaine catramate e fanghi) gli stessi provenivano in massima parte da un’azienda autorizzata al trattamento sita a Sparanise che, grazie a questo sistema, riusciva ad abbattere fortemente costi di gestione. L’indagine – svolta con grande spirito collaborativo e di coordinamento fra i diversi uffici giudiziari, l’Arma dei carabinieri e la guardia di finanza – ha consentito dunque di disarticolare un pericoloso sodalizio delinquenziale evidenziando, ancora una volta, come il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti siano divenuti una delle attività più remunerative per la criminalità che, incurante dei rilevantissimi danni ambientali causati, si dimostra sempre più pervasiva nel settore, richiedendo un’azione di contrasto sempre più incisiva.

GLI ARRESTATI

Nell’indagine del pm Milto De Nozza, che coinvolge complessivamente 44 persone e un’azienda, ci sono anche quattro uomini della provincia di Lecce. Si tratta di: Luca Grassi, 48enne di Lecce; Claudio Lo Deserto, 66enne di Lecce; Valerio Marra, 58enne di Alessano e Palmiro Mazzotta, 74enne di Surbo. Per Lo Deserto e Mazzotta, come disposto dal gip Alcide Maritati, si sono aperte le porte del carcere.

Sempre in carcere sono finiti Roberto Scarcia, 66enne di Taranto; Luca Di Corrado, 42enne di Tarano; Davide D’Andria, 40enne di Taranto; Francesco Sperti, 56enne di Manduria; Oronzo Marseglia, 57enne di San Vito dei Normanni; Salvatore Coscarella, 76enne di Cosenza; e Nestore Coseglia, 55enne di Marano di Napoli.

Ai domiciliari, invece, Biagio Campiglia, 42enne di San Pietro al Tanagro (Salerno); Franco Giovinazzo, 41enne di Siderno (Reggio Calabria) e Antonio Li Muli, 41enne di Palermo.