Arsenale a Cosenza vecchia: ennesimo pentito o acume investigativo?

Con quello di ieri salgono a tre gli arsenali, in uso alla ‘ndrangheta, ritrovati negli ultimi 18 mesi a Cosenza dalle forze dell’ordine: Rende, via Popilia e Cosenza vecchia. Tre ritrovamenti che hanno un filo conduttore: nessun arresto. Così come era successo per l’arsenale di via Popilia, anche per quello scovato ieri in una soffitta di uno stabile nel quartiere dello Spirito Santo, gli investigatori si sono affannati a dire, nella velina fatta circolare nelle redazioni dopo l’operazione, che tale ritrovamento è frutto del lavoro investigativo degli uomini delle forze dell’ordine e che nessun pentito, confidente, o canterino, ha partecipato “all’operazione”.

Dicono i carabinieri del ritrovamento di ieri: “siamo riusciti ad individuare l’arsenale dopo aver notato un via vai piuttosto strano di gente all’interno del palazzo. Ci siamo insospettiti e siamo intervenuti, scoprendo non solo l’arsenale ma anche un grosso quantitativo di cocaina“. Una brillante operazione di “intelligence”. Capiamo i motivi che inducono i carabinieri a dire questo, ma ancora una volta, così come per gli altri ritrovamenti, gatta ci cova. E già, perché quello che dicono i carabinieri rasenta il ridicolo e spieghiamo subito il perché. Se fosse vero quello che hanno sostenuto i carabinieri, l’atteggiamento, o l’approccio “investigativo” avrebbe dovuto seguire un altro “protocollo”.

Così come prescrive il manuale del “perfetto investigatore”: una volta scoperto un “deposito”, la prima cosa da fare è quella di appostarsi, uno, due, tre giorni, anche qualche settimana se serve, per monitorare chi entra e chi esce dallo stabile. E una volta individuato il custode, o i custodi, seguirli, pedinarli, e intercettarli per arrivare, eventualmente, alla fonte e smascherare tutta la “rete criminale”. Invece che fanno i carabinieri? Notano un via vai, non fermano nessuno, e senza produrre un minimo di investigazione, ieri mattina decidono di intervenire numerosi e ben attrezzati “marciando” dritti verso la santabarbara. Un atteggiamento che cozza con tutti i manuali d’indagine e la domanda sorge spontanea: chi era questa gente che entrava e usciva dallo stabile, notata dai carabinieri, e soprattutto con chi parlava (visto che ri recava nello stabile)? È chiaro a tutti che i carabinieri, così come per l’arsenale di via Popilia, sono andati a colpo sicuro. E questo significa una sola cosa: qualcuno se l’è cantata.

Infatti i carabinieri, visto anche il diffondersi della voce in città di nuovi pentiti all’orizzonte, sono stati “costretti ad intervenire”, sapendo bene che nessuno si sarebbe presentato, perché i responsabili del “deposito” avevano già, forse avvisati da qualcuno, sgamato tutto. Perciò sono intervenuti senza arrestare nessuno, perché nessuno si è presentato a recuperare droga e armi. E parliamo di un chilo e mezzo di coca, un “malloppo” pesante per la mala cosentina.

È evidente che chi doveva custodire droga e armi, era ben informato sulla soffiata fatta da qualche canterino ai carabinieri. Al di là di questo che comprendiamo, resta il fatto del ritrovamento dell’ennesimo arsenale, il che significa che a Cosenza qualcuno da tempo sta cercando di riorganizzare il “crimine” attrezzandosi a dovere per fronteggiare eventuali rivali. Altrimenti come spiegare tutte queste armi? E pensare che da noi ci sono ancora dei magistrati che dicono che le ‘ndrine non esistono, e che quelle presente sul territorio altro non sono che gruppi malavitosi che si compongono e scompongono secondo le circostanze e gli interessi del momento. Una sorta di malavita liquida che appare e scompare come un acquazzone estivo, lasciando qualche pozzanghera qua e là, dove spesso gli investigatori pescano qualche pesciolino disposto a cantare. Meno male per noi cosentini che possiamo stare tranquilli: a Cosenza la ‘ndrangheta non esiste. E se non esiste la ‘ndrangheta non esistono neanche i servitori dello stato infedeli e i politici collusi. E tutti vissero felici e contenti. Cosenza: la favola continua.