“Basso profilo”. Ecco perché il finanziere corrotto e il “principino” mafioso cacciano Brutto dall’affare albanese

La collaborazione dell’avvocato Claudio Larussa nel cercare di risolvere la “questione indagini” al Gallo raggiungeva un livello superiore quando gli comunicava che in Prefettura era stato “eliminato” un procedimento. Ma non tutti i guai erano ancora risolti e così il Gallo continuava a compulsare il finanziere D’Alessandro, che rievocava ancora una volta il celeberrimo “profilo basso”. Sono tanti gli spaccati dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, denominata proprio “Basso Profilo”, che proprio oggi è arrivata alla sentenza di primo grado per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. Le condanne più pesanti sono state quelle per gli imprenditori Antonio Gallo e Umberto Gigliotta (30 anni) e per l’ex finanziere Ercole D’Alessandro (6 anni e 8 mesi). Uno degli aspetti più sconcertanti riguarda proprio il rapporto tra Antonio Gallo detto il principino e il D’Alessandro.

Il militare, in particolare, spiegava al Gallo che a causa dei titoli sui giornali circa il suo coinvolgimento nell’operazione Borderland, l’opinione delle persone su di lui era compromessa e pertanto diceva: “… stai attento ai telefoni quando parli non parli…tramite whatsapp… Allora Antonio, io devo mantenere un profilo basso hai capito?…”.

Poi Gallo chiedeva aggiornamenti sulla misura di prevenzione che stavano preparando nei suoi confronti e il maresciallo lo tranquillizzava dicendogli che il maresciallo Mari non era un pericolo (ma sto stupido… ma chi è stu Mari?”) e rivelandogli come si stessero svolgendo le indagini, e cioè che era tutto congelato per via di altre deleghe dell’AG su altri soggetti.

D’Alessandro riferiva un’altra notizia riservata, dicendo al Gallo che era sospettato di riciclaggio per conto della cosca Trapasso. E aggiungeva: “Ti ho detto: vogliono dimostrare il riciclaggio.. hai capito? Mo non stanno facendo niente perché stanno facendo altro… altre deleghe gli sono arrivate… ma non su di te… dice che hai riciclato per i Trapasso… per il discorso della misura di prevenzione mi ha fatto vedere il malloppo come era… questa la storia dei Trapasso, con questo cazzo… di nome si chiama Caloi(e)ro… e tutto il personale di Isola Capo Rizzuto…”.

I due interlocutori passavano poi a discutere di Umberto Gigliotta Mister centomila e del suo tenore di vita. D’Alessandro era al corrente che “anche” la lussuosa autovettura del Gigliotta (una Porsche Carrera 911) era provento di delitti e raccontava al Gallo che metteva in guardia il Gigliotta circa il fatto che prima o poi nel corso dell’esecuzione di qualche attività gli avrebbe sequestrato l’autovettura per poi riutilizzarla (D’Alessandro: “Gli ho detto… Umbè non me la sciupare questa cazzo di macchina… che poi per fare la manutenzione costa un sacco di soldi…). Il D’Alessandro quindi non solo era vicino a soggetti su cui sapeva che erano in corso indagini, ma entrava in confidenza con questi, avvertendoli dei pericoli che correvano, rivelando segreti d’ufficio e sfruttando la sua posizione di intraneo alle forze dell’ordine. Nel caso del Gallo, risulta ampiamente non solo che il maresciallo gli dava consigli, ma che questi si adoperava attivamente per insabbiare le indagini in corso nei suoi confronti.

La conversazione del 23 marzo 2018 tra il Gallo e il maresciallo D’Alessandro permette di desumere che l’affare albanese era giunto alla conclusione. Entrambi mostravano preoccupazione rispetto a Tommaso Brutto, specificando che questi non doveva essere messo al corrente del rapporto tra loro due. Tale premura era ragionevolmente motivata dal fatto che il Brutto era al corrente di diverse “verità scomode” su entrambi e che quindi avrebbe potuto rivelarle nel caso in cui avesse appreso di essere stato escluso. Il Gallo poi faceva esplicito riferimento alla pratica di “pulire” i soldi e che si teneva in contatto con l’avvocato Claudio Larussa.