Belvedere, Tirrenia Hospital. Una vita vale un ricovero?

Tirrenia Hospital di Belvedere Marittimo: una vita vale un ricovero?

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. I proverbi non sbagliano mai e in questo caso, non ce ne sarebbero stati di più appropriati. Parliamo di un periodo storico delicato; parliamo di pandemia; parliamo di sanità calabrese, in questo caso privata. Parliamo di un territorio depauperato, quello dell’Alto Tirreno cosentino, dove chi fa la voce grossa e si trova per mera fortuna a dirigere un timone, si crede Dio in terra. Ma Dio in questo caso è stato grande, troppo.

E ci ha messo di fronte a qualcosa di incontrollabile. Lo sa bene anche la “Tirrenia Hospital – Istituto Ninetta Rosano” di Belvedere Marittimo, che si è ritrovata – come ogni struttura sanitaria d’Italia – a dover fronteggiare un nemico silenzioso. Ancora più silenzioso della paura, della connivenza, dell’omertà che siamo purtroppo abituati a ingoiare, a queste latitudini. La domanda che ci poniamo tutti, nelle rare occasioni di pericolo di sopravvivenza, è una e trina: quanto vale una vita? Che prezzo diamo alla vita, nostra e altrui? Ma soprattutto, che senso ha rischiarla dalla mattina alla sera, pur sapendo che ci sarà sempre il “Gobbo cattivo” di turno, che renderà inutili i nostri sacrifici? Abbiamo seguito con attenzione le ultime vicende belvederesi. Lo scaltro Saverio Di Giorno, in queste pagine, ha fatto luce su uno scandalo venuto fuori proprio per merito della famigerata pandemia. Ma se la Procura e le Autorità competenti sono già all’opera e su più fronti, è bene ricordare e fare un piccolo riassunto di quello che potremmo intitolare, se fosse un racconto di fantasia, “I viaggi della speranza”.

Non è un segreto che la gestione della clinica ex Tricarico di Belvedere, per tre anni, è affidata all’imprenditore e medico Giorgio Crispino. Non è un segreto che lo stesso Crispino è titolare della RSA “Santa Maria” di Bocchigliero – e non solo -, attualmente attenzionata per un focolaio di coronavirus. Fin qui nulla di strano. Lo strano esce fuori quando, nel marzo scorso, si comincia ad intravedere qualche “viaggio” – nemmeno troppo velato – di pazienti da una struttura all’altra, nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria. Anche in questo caso non ci sarebbe nulla di strano. Se non fosse per quel piccolo, esaustivo Decreto Regionale che vieta ricoveri e trasferimenti, se non urgentissimi; proprio per evitare il diffondersi dei contagi. Ma procediamo con calma. È il 30 marzo quando veniamo a conoscenza, per comunicazione della clinica stessa, della positività al tampone di un’infermiera alle loro dipendenze.

Da qui il putiferio, la goccia che fa traboccare il vaso. Il senso di pericolo e paura per un intero territorio. Da qui si tira fuori la testa dalla sabbia. Sindaci, senatori e chi più ne ha più ne metta, tutti sul piede di guerra. Da qui denunce ed interrogazioni parlamentari. Da qui la richiesta di spiegazioni sul perché, da zone rosse come Bocchigliero, i pazienti fossero stati trasferiti a Belvedere e per quali particolari motivi. E con quali tutele. E con quali accondiscendenze. Da qui la richiesta alla direzione sanitaria di avere nominativi, tra personale e degenti, registrati in clinica da inizio marzo, onde poter mettere in atto le appropriate misure cautelative di ciascun comune. Dopo un primo rifiuto da parte della direzione sanitaria – per motivi di privacy, si intende -, ad oggi non ci è dato sapere se quei nominativi sono pervenuti ai comuni alto-tirrenici. Ma tant’è, il danno è fatto. Non parleremo di possibili altri contagi, passati e futuri, all’interno della Tirrenia Hospital; nemmeno degli attuali pazienti ancora ricoverati e provenienti da chissà quali zone della Calabria. Nemmeno di un paziente in particolare, deceduto per coronavirus e “transitato” sulla barca di Caron dimonio per il mare cristallino della clinica.

Possiamo parlare però delle comunicazioni scritte dalla Tirrenia Hospital: della consegna di mascherine, guanti ed altro materiale sanitario a far data dal 30 marzo. Della cassa integrazione per i 204 dipendenti, a far data dal 29 marzo. E prima? Cosa è accaduto prima in quella clinica, per anni fiore all’occhiello della sanità privata calabrese? Come si lavorava e come si lavora, tra le mura della struttura? È stato fatto il possibile per evitare il peggio oppure qualcuno se l’è cercato? E chi di competenza, si stava già occupando del caso oppure “panta rei”, fino ad arrivare a non poterlo più fare? I nervi della direzione sanitaria, a questo punto, cominciano a saltare. E dopo il danno, la beffa. Sì, perché l’infermiera risultata positiva e tuttora in isolamento a Tortora, dopo audio raffazzonati, screditamenti vari e dopo una bidonata di notizie veritiere e non, si è vista recapitare una lettera di sospensione per “danno all’immagine dell’azienda”. Ma su tutto ciò, non spetta a noi mettere il naso. Sottolineiamo nuovamente che questo è un riassunto. Il riassunto di un racconto che purtroppo, di fantasia ne ha ben poca. E per chiudere la storia e trovare una morale, mi rifaccio alla precedente domanda: quanto vale una vita? Io risponderei: molto più di un fruttuoso ricovero.

Lettera firmata